Adam McKay è uno dei registi americani più interessanti in circolazione. Amico e collaboratore fidato di Will Ferrell, probabilmente l’attore comico più creativo e intelligente in attività, si è fatto le ossa lavorando per il Saturday Night Live. Regista, sceneggiatore e produttore dotato di un fiuto per i tempi comici infallibile, sia quando si tratta dilatarli sino allo stremo della gag, sia quando la scena necessita di una notazione fulminea a margine, si è rivelato la spalla ideale per la comicità fisica e intellettuale di Will Ferrell. Un colpo di genio come Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy dimostra come regista e attore abbiano una profonda consapevolezza politica della dismisura della gag e del valore documentario della sproporzione fra parola e oggetto.

 

 

Purtroppo Will Ferrell in Italia è poco praticato sia dal pubblico che dalla critica, cosa che di conseguenza ha fatto sì che Adam McKay sia sempre stato un cineasta virtualmente inesistente, penalizzato inoltre da traduzioni demenziali, nonostante esiti maiuscoli come Ricky Bobby: la storia di un uomo che sapeva contare fino a uno e Poliziotti di riserva. Per cui se è vero che La grande scommessa rappresenta un enorme balzo in avanti per McKay è altrettanto vero che si meraviglia oggi probabilmente s’è perso qualcosa ieri. Portare sullo schermo il libro di Michael Lewis The Big Short – Il grande scoperto, non deve essere stato facile. Averne adattato la struttura saggistica e specialistica, fatta in larga parte di gergo bancario, trasformandolo così in un thriller ibrido le cui risate si spengono prima ancora di affiorare alle labbra, è davvero un’operazione di straordinario acume registico.

 

 

Il libro di Lewis è il resoconto saggistico di come degli operatori di Wall Street e alcuni liberi battitori, intuendo con larga anticipo la piega che avrebbero preso le cose, hanno letteralmente scommesso contro la più grande piazza d’affari del mondo, prevedendone il crollo. La corsa al mutuo facile, vendibile e rivendibile, intrecciata al mercato immobiliare, ritenuto saldo quanto i mutui stessi, sembravano essere i bastioni in grado di garantire speculazioni all’infinito.
I protagonisti del film, interpretati da Christian Bale, Ryan Gosling, Brad Pitt e Steve Carell, intuiscono il buco nero nel meccanismo apparentemente perfetto e ciascuno

a modo suo tenta di giocare contro il sistema. Come per il Diavolo, la cui più grande astuzia è di far credere di non esistere, anche la finanza si basa su un assunto dato troppo facilmente per scontato: la finanza è una cosa per specialisti, non ci si capisce niente, meglio lasciarla a chi se ne intende.

 

 

Come invece ha dimostrato l’eccellente documentario didattico Inside Job di Charles Ferguson, se qualcuno le spiega le cose, si capiscono. Adam McKay, pur lavorando su un registro completamente diverso, e in regime di finzione, procede allo stesso modo. Spiega le cose. Dimostra come funzionano i mutui, i prestiti, i guadagni e lo fa utilizzando dei siparietti addirittura brechtiani: basti pensare a Margot Robbie (rimando ironico ma non troppo a The Wolf of Wall Street) nella vasca da bagno che spiega alcuni passaggi cruciali del film mentre si fa versare champagne.

 

 

 

Come dire: ci presti attenzione ora o preferisci guardare lei nella vasca ed essere fregato dopo? Un autentico colpo di genio che rappresenta il rovescio esatto delle strategie di marketing delle banche. Adam McKay con La grande scommessa salda le strategie politiche del cinema cosiddetto demenziale sorto dal Saturday Night Live alla grande stagione della Nuova Hollywood dei Pollack e dei Pakula: a Wall Street non c’è mai stato un crack ma un colpo perfetto sigillato dal bail out (ossia lo stato salva le banche che hanno giocato sulla pelle dei risparmiatori). Il montaggio di Hank Corwin (The Tree of Life) che unisce le quattro vicende parallele del film mette in scena il mondo rizomatico del denaro dove tutto è connesso come in circuito chiuso.

 

 

 

Immaginate in Italia un film sullo scandalo della Banca Etruria. E che a farlo sia un regista… comico. Il solo pensiero fa rabbrividire. La grande scommessa, invece, rilancia la scommessa di un cinema civile impegnato giocando con piena consapevolezza politica la carta della forma.