C’era un tempo in cui le informazioni, una volta assemblate e elaborate, erano spacciate come veritiere. I certificatori che garantivano la loro esattezza erano inseriti in un dispositivo che prevedeva una verifica della loro fondatezza e la conseguente possibilità di una revisione. I giornalisti le producevano in base a un decalogo di regole che avevano, nelle gerarchie esistenti nei media, un fattore di controllo. La catena gerarchica era composta da caporedattori, direttori e financo l’editore poteva intervenire per modificare quanto scritto o filmato. Nei manuali di storia del giornalismo sono stati spesi fiumi di inchiostro sugli strumenti di autogoverno dei media e sull’esistenza di leggi che garantivano il pubblico attraverso un sistema di norme e sanzioni – le querele per diffamazione, la richiesta di rettifica, l’indennizzo -: fattori, tutti, finalizzati alla correttezza e alla veridicità dell’informazione stampata, trasmessa in tv o per radio. Anche la tensione tra verità e veridicità svolgeva un ruolo non indifferente per garantire l’informazione da manipolazioni, esplicitando così il dubbio sull’oggettività e neutralità della informazione diffusa. L’autogoverno dei media garantiva inoltre l’esercizio del controllo sui poteri vigenti nelle società.

L’ospite inatteso

Questa fabula, per quanto contestata e criticata, ha legittimato i media quali strumenti indispensabili nella produzione dell’opinione pubblica. Con la Rete, tutto ciò è andato in frantumi. Ogni uomo e donna possessore di un computer connesso al web diventava potenzialmente un produttore di informazione. L’autorità dei giornalisti ne è risultata ridimensionata, tanto più se in Rete giornali, tv e radio potevano essere messi in discussione e contestati. Il web poteva diventare il medium che esercitava il controllo sui cinque poteri vigenti, compresa la critica ai media mainstream. Anche in questo caso, un’altra favola si è imposta nella discussione pubblica: il «potere della folla» garantiva forme di correzione e modifica in tempo reale dell’informazione prodotta on-line.

Il potere autoregolativo della folla si è però rivelato fallace. Molti i casi di informazioni inventate e false diffuse; tantissimi gli episodi di imprese e governi nazionali che hanno assoldato «mercenari» per compilare voci parziali per Wikipedia, l’esempio più noto del potere della folla in Rete. Impossibile tenere il conto dei furti e delle false identità che caratterizzano il flusso informativo on-line. Ricorrenti sono gli insulti e le notizie false su questo o quel personaggio pubblico e talvolta famoso. Rispetto al «lato oscuro» del cyberspazio va ripristinata una forma di autorità che certifichi la correttezza delle informazioni. Ne è convinto Charles Seife, autore del volume Le menzogne del web pubblicato da Bollati Boringhieri (pp. 239, euro 22).

Seife ha una formazione scientifica – è laureato in matematica -, ma ha scelto come professione il giornalismo, arrivando a insegnare giornalismo alla New York University. Nel suo lavoro di redattore e divulgatore scientifico si è misurato con la tendenza a spettacolarizzare l’informazione scientifica, intervenendo spesso contro l’enfasi data ad alcune notizie riguardanti ricerche scientifiche che di rivoluzionario poco avevano, anche se erano spacciate come risolutive per la cura di questa o quella patologia; o come un sovvertimento radicale delle conoscenze finora acquisite in biologia, fisica, chimica.
Il punto di forza delle sue argomentazioni è sempre stato la necessità di riaffermazione delle capacità autoregolative della professione giornalistica come condizione per le necessarie verifiche delle notizie diffuse. Dunque controllo sulle fonti, esercizio del dubbio, messa a confronto di punti di vista e interpretazioni divergenti. È dunque espressione di quella «cultura» giornalistica che nel mondo anglosassone vede nei media gli strumenti di una informazione oggettiva della realtà. Comprensibile, dunque, la sua diffidenza nei confronti del flusso disordinato e caotico di informazioni e contenuti della Rete.

In questo libro affronta alcuni temi «forti» della network culture statunitense. Il potere della folla, in primo luogo. Seife non disconosce le possibilità di una «democratizzazione» dei media derivante dal passaggio del pubblico da essere consumatore passivo a produttore attivo di informazione. Anzi, ritiene questa chance come un segnale di vitalità del mondo dei media. Ciò che propone tuttavia è il ripristino dell’intermediazione – il giornalista – tra la realtà e la sua rappresentazione mediatica. I casi che cita di menzogne e falsità veicolati della Rete sono noti. Così come note sono le operazioni compiute dalle imprese per ricostruire un’immagine immacolata dei loro prodotti, politiche aziendali o per veicolare informazioni dannose su un concorrente. Non mancano nei suoi cahiers de doléances le false recensioni pubblicate su Amazon scritte dagli stessi autori di libri. L’analisi di Seife diventa prudente quando si tratta di analizzare i tentativi di controllo e di disinformazione compiuti da questo e quel governo. E poco dice dell’uso della rete, in una commistione tra giornalismo d’inchiesta e mediattivismo, da parte di Wikileaks o di Edward Snowden per denunciare l’intreccio tra corporation globali e governi locali per affari illeciti, sui tentativi di depistaggio compiuti dall’esercito Usa per coprire l’uccisione di civili da parte di soldati statunitensi in zone di guerra; o sulle corrispondenze tra ambasciate e dipartimento degli esteri .

Un sistema integrato

Il problema non è la sottolineatura delle menzogne veicolate dalla Rete, elemento d’altronde presente anche nei «vecchi media», ma di come Internet abbia riconfigurato l’insieme del sistema informativo. Più che un elemento distinto da televisione, carta stampata e radio, Internet è divenuta un media complementare ad essi. L’esempio più calzante è Twitter, dove un numero sterminato di cinguettii sono dedicati al commento, alla segnalazione di quanto trasmette il tubo catodico, l’etere o quanto viene pubblicato dai quotidiani. Più che un «metamedia», come talvolta è stato sostenuto, Twitter è interfaccia, canale di comunicazione, piattaforma digitale che mette in stretta relazione il caos informativo della Rete e i media mainstream. Non è cosa ignota il fatto che i giornalisti scrivano, discutano tra di loro, mentre gli utenti del web intervengono, commentano, criticano. È questa complementarietà tra Rete e «vecchi media» che riconfigura i termini della discussione sulle verità o le menzogne diffuse attraverso Internet. Ciò che rimane sullo sfondo del volume di Charles Seife è «il modo di produzione» dell’opinione pubblica. Dunque della democrazia nelle società contemporanee. Un problema troppo grande da poter essere liquidato ripristinando l’autorità perduta dei giornalisti.