L’escalation di notizie di queste ore, che giungono dall’Italia e dall’estero, non è, purtroppo, un pesce d’aprile, ma rivela, ancora una volta, come il settore petrolifero sia fonte di inquinamento e non solo ambientale. Dallo smaltimento illegale di rifiuti Eni in Val d’Agri al caso Unaoil nel Principato di Monaco e alle intercettazioni che coinvolgono il Ministro dell’industria sul caso del progetto Tempa Rossa, alle indagini per smaltimento di rifiuti pericolosi della piattaforma Vega di Edison, emerge un quadro desolante.

Non è una novità – se pensiamo alla lunga storia di scandali petroliferi del nostro Paese – né una specialità solo nostrana. In queste settimane anche negli Usa le indagini per frode sulle falsificazioni e manipolazioni in tema di clima globale che coinvolgono la Exxon (Esso in Italia) e altre aziende stanno allargandosi e coinvolgono già 20 procure generali.

La coincidenza con la scadenza referendaria – per quanto limitata a un aspetto particolare dell’estrazione di idrocarburi – impone a tutti una riflessione e dovrebbe aprire un dibattito su quale futuro energetico vogliamo. Oltre alla evidente assenza di controlli ambientali seri e indipendenti, riemerge ancora una volta un ruolo di vera e propria «servitù» agli interessi dell’industria fossile di una politica che pretende invece di essere riformatrice e innovativa. Mentre scriviamo arriva la notizia delle dimissioni della ministra dello Sviluppo economico Guidi.

Che il governo Renzi avesse un’attitudine «fossile» – con attacchi devastanti alle fonti rinnovabili, ree forse di aver toccato un mercato prima controllato da un oligopolio finora dominato dalle industrie fossili – lo si era capito e denunciato da tempo.

La novità è che oltre a una linea politica di restaurazione «fossile», ampiamente contestabile e contestata ma fatta alla luce del sole, ci sarebbero stato anche (un?) abuso di potere.

Il Presidente del Consiglio, attivamente impegnato a boicottare il referendum violando la legge, qualche giorno fa all’inaugurazione di un impianto rinnovabile di Enel in Nevada ha detto che le rinnovabili vanno bene ma che avremo ancora bisogno per molto tempo di petrolio.

La trasformazione energetica verso un modello basato sulle rinnovabili richiede certo del tempo, ma un conto è prevedere in modo ambizioso una transizione con tappe chiare, un altro è cercare di bloccarne in tutti i modi lo sviluppo per proteggere gli interessi delle industrie fossili. Le rinnovabili vanno bene ma in Nevada, qui da noi dobbiamo proteggere il mercato delle fonti fossili.

La dichiarazione di Renzi per cui «l’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence», spiega bene lo stato dei rapporti. Certo, anche questa non è una novità, si tratta di una azienda centrale nella storia del Paese. Ma dopo la Conferenza di Parigi – cui il governo italiano vanta di aver contribuito positivamente – sarebbe giunta l’ora di fare delle scelte e di decidere cosa conviene al Paese e non agli interessi dell’industria fossile. Dovremmo aprire una discussione su che ruolo l’Italia debba avere nella rivoluzione delle rinnovabili, riprendendo la strada interrotta e costruendoci attorno una politica industriale di filiera, o se al contrario dobbiamo avere un ruolo come «hub del gas» e dunque frenarne l’ulteriore sviluppo. Quale sia la posizione di ENI lo sappiamo.

La politica – specie quella che oggi deve riscattarsi – dovrebbe facilitare il dibattito coi cittadini. E invitarli a esprimersi il 17 aprile, trasformando un quesito limitato in occasione di dibattito pubblico.

* direttore di Greenpeace Italia