«Ci vorrà tempo, non sarà facile ma sistemeremo tutto. Tra giovedì e venerdì faremo un decreto legge e cercheremo tutti insieme, con i sindaci, le soluzioni». Forse è significativo che nelle parole pronunciate ieri da Renzi a Preci spunti tra le righe una nota di preoccupazione per lui del tutto inusuale. Il quadro è in effetti tutt’altro che rassicurante e nel labirinto dei conti il premier deve dibattersi come può. Dopo il forzista Brunetta ieri sono stati i capigruppo di Sinistra italiana Scotto e De Petris a denunciare il gioco di prestigio effettuato con le cifre nella voci della manovra relative al sisma e la Lega promette di «portare all’attenzione del Parlamento europeo i conti truccati di Renzi».

Di nodi non sciolti, in quei conti, ce ne sono in effetti parecchi. Il più vistoso è lo scarto tra i 3,4 miliardi che il governo chiede di non contare ai fini del patto di stabilità in quanto devoluti all’emergenza terremoto e i soli 600 milioni indicati nella manovra. Per i rimanenti 2,8 bisogna accontentarsi di generiche spiegazioni sul fatto che sono «sparsi per i vari ministeri». L’elemento più clamoroso però non è neppure questo: è l’assenza di riferimenti a quel progetto di messa in sicurezza antisismica del territorio in nome del quale Renzi sfida l’Europa. Del piano strategico decennale, anzi «pluridecennale» come sostiene giustamente il ministro dell’Ambiente Galletti, non c’è quasi segno. Sarebbe invece il caso di affrettarsi, visto che la messa in sicurezza degli edifici pubblici costerà, secondo una stima prudente, 50 mld, e quella degli edifici privati 150 mld. Infine c’è la nuova emergenza, quella legata al terremoto di domenica scorsa ma anche alle scosse che continuano a squassare quasi quotidianamente il Centro Italia. «Le coperture le troveremo», ha detto ieri il commissario Errani. Stando a quel che ha sostenuto Renzi nella conferenza stampa dopo la riunione del consiglio dei ministri di lunedì quelle coperture già sono «nella legge di bilancio». Affermazione misteriosa, visto che la legge doveva fronteggiare gli effetti del terremoto del 24 agosto e non si capisce come possa bastare per intervenire su una situazione che è oggi molto più grave.

Il decreto arriverà davvero tra giovedì e venerdì, supportato da uno stanziamento di 40 milioni, che però sono una goccia nel mare. Serviranno a creare almeno un riparo immediato, ma certo non a ricostruire niente e tanto meno a intervenire su un’economia locale che è franata con le case di Norcia e Ussita. E’ impossibile evitare la sensazione che Renzi intenda scostarsi il meno possibile dalla tabella di marcia e dai conti con i quali aveva previsto di affrontare sia il referendum che la difficile trattativa con l’Europa. Al grosso dei problemi si penserà se e quando saranno stati superati quegli ostacoli.

Il referendum è un’incognita enorme, ma la conclusione del braccio di ferro con l’Europa lo è quasi altrettanto. Ieri il ministro degli Interni tedesco de Maizière ha messo letteralmente in scena il dilemma nel quale si dibattono Berlino e Bruxelles. Prima è entrato a gamba tesa nella vicenda referendaria affermando che la riforma, se approvata, «potrà dare all’Italia un futuro migliore», provocando le immediate proteste di Fi e dell’M5S. Cambiato argomento per arrivare alla flessibilità sono però cambiati anche i toni: «Gli obblighi europei devono valere per tutti e l’onere dei rifugiati che grava sull’Italia non è tra i più alti». Per la Germania e per la Ue l’ideale sarebbe salvare il rigore e allo stesso tempo supportare la vittoria del Sì. Invece si trovano a dover scegliere e anche se rimanderanno la decisione a dopo il 4 dicembre qualche segnale nel prossimo mese saranno costretti a darlo.