Lunedì si è riunito il comitato federale del Psoe, il gruppo dirigente allargato dei socialisti spagnoli, per deliberare sulla strategia post-elettorale del partito.

Al termine della riunione è stata approvata una risoluzione che, pur ribadendo la indisponibilità dei socialisti a larghe intese auspicate dalle destre spagnole e indicate dalla Merkel e dai liberisti europei, ha però contemporaneamente riempito di ostacoli, quasi insormontabili, la possibile alternativa basata su un’alleanza tra Psoe, Podemos e Unidad Popular-Iu, possibilmente votata anche dalle coalizioni elettorali indipendentiste.

Proprio ciò che i socialisti avevano chiesto a Podemos, di non porre pregiudiziali al dialogo fra i due partiti, è invece il risultato di ciò che il comitato federale socialista ha deciso e approvato. La pregiudiziale ad un qualsiasi dialogo fra Psoe e Podemos è la rinuncia esplicita da parte del partito di Pablo Iglesias al referendum sulla Catalunya.

Non è dunque bastata l’apertura fatta da Iglesias subito dopo l’esito elettorale, con la quale indicava come prioritaria, per tessere un accordo, la soluzione delle emergenze sociali in appoggio ai ceti più sfavoriti, derubricando di fatto la questione del diritto a decidere dei catalani. L’impressione è che la decisione presa non si limiti solo a un tentativo di porre ostacoli all’apertura del confronto e quindi ad una possibile alleanza di governo fra socialisti e Podemos, ma sia soprattutto funzionale all’obiettivo di mettere in discussione la leadership del segretario socialista Pedro Sanchez.

Non a caso una volta avallata la risoluzione con la pregiudiziale, una parte rilevante del gruppo dirigente, i baroni del Psoe, ha chiesto un congresso del partito entro marzo, minacciando, nell’ipotesi di un rifiuto, di raccogliere le firme necessarie per ottenere la convocazione di un nuovo comitato federale in cui formalizzarlo, come previsto dallo statuto.
Burocrazia politica, giochi di potere. È abbastanza evidente che se oltre a imporre pregiudiziali, si reclama anche il congresso del partito proprio nelle settimane in cui si vagliano le condizioni necessarie e sufficienti per dare un governo a guida socialista alla Spagna, significa di fatto non credere o escludere questa eventualità.

A questo punto diventa quasi irrilevante stabilire se queste decisioni siano state prese per riaprire spazi a destra per un accordo con i popolari di Rajoy e con la formazione Ciudadanos o, al contrario, per puntare a elezioni anticipate con un diverso segretario.

Ciò che emerge è che larghi settori del gruppo dirigente del Psoe non avevano già prima delle elezioni e non hanno ora alcuna intenzione di imbarcarsi in un rapporto con un partito come Podemos, che ha dato una rappresentanza istituzionale al movimento degli indignados, perché li costringerebbe a rivedere nel profondo le scelte sociali, economiche, ambientali ed istituzionali fin qui prese dal partito, mettendo anche in discussione gli attuali equilibri europei e la posizione di preminenza liberista che li esprime.

È abbastanza evidente che nessuno nel Psoe pensi che il partito di Pablo Iglesias possa andare oltre alla disponibilità di dare priorità alle questioni sociali. Proprio l’inserimento del diritto a decidere ha permesso in Catalunya, in Galizia e nei paesi Baschi, le alleanze con i movimenti sociali. Alleanze che hanno consentito di strappare la maggioranza dei seggi al Congresso in tutte e tre le circoscrizioni. Inoltre sarebbe bizzarro pensare di riuscire a fare un governo di alternativa che eludesse la questione catalana.

Accusare la proposta di Podemos di attentare all’unità territoriale della Spagna è solo una forzatura a fini interni di partito, in poche parole una indisponibilità al confronto. Iglesias ha più volte chiarito che concedere il diritto a decidere sarebbe l’unico modo efficace per garantire l’unità e sconfiggere l’indipendentismo nazionalista.

È difficilmente contestabile la tesi che al punto in cui sono arrivate concretamente le cose, grazie all’ignavia del governo Rajoy, ma anche per la inconsistenza delle proposte socialiste, non sia solo il diritto a decidere l’unica proposta credibile per difendere l’unità della Spagna.

Il Psoe ha così scelto di assestare un colpo alla voglia di cambiamento richiesta da oltre undici milioni di spagnole e spagnoli che hanno votato a sinistra, quasi un milione in più dei voti raccolti dal Pp e da Ciudadanos.

Per ora una occasione persa se si considerano i punti di unione tra socialisti e Podemos per risolvere l’emergenza abitativa, sviluppare l’occupazione, dar vita ad un nuovo modello energetico, bloccare il terrorismo machista e riformare la costituzione.