La polemica, nell’aria da quando si è iniziato a parlare di questo film la cui uscita prevista ieri nelle sale d’oltralpe era stata messa in discussione per ragioni di ordine pubblico, è esplosa con prepotenza qualche giorno fa. Al Fipa, il Festival dell’audiovisivo di Biarritz, gli organizzatori hanno deciso all’ultimo momento (pare su pressione del Centro nazionale di cinematografia) di riservare la proiezione di Salafistes, il documentario di François Margolin e Lemine Ould Salem, solo ai giornalisti e agli accreditati chiedendo al pubblico di lasciare la sala. Proteste, accuse di censura, l’imbarazzo del Festival che non era in grado di dare spiegazioni plausibili se non che la violenza di alcune sequenze poteva essere offensiva.

Fino a ammettere la ragione «vera»: il film rischia di apparire come un’apologia del terrorismo.Ieri è arrivata la notizia del divieto ai minori di diciotto anni imposto dal ministro della cultura francese Fleur Pellerin, decisione rara per un documentario (e presa «a larga maggioranza») che comporta molte restrizioni di circolazione nel circuito della sale (a Parigi uscirà in due sale e in poche altre nel resto del Paese), e l’impossibilità di essere trasmesso in televisione (nonostante ci siano dei canali televisivi tra i produttori. Il gruppo France Télévisions, che lo ha co-finanziato ha fatto già sapere che non lo manderà in onda).

E che impone un «marchio» visibile del divieto sui trailer, sui manifesti e nei cinema. «Tenuto conto della scelta di diffondere senza commento scene e discorsi di estrema violenza, ho deciso di seguire l’opinione della commissione di censura» ha dichiarato il ministro Pellerin. «Una decisione che uccide il film» è stata la prima dichiarazione di François Margolin.

Effetti dello stato d’urgenza? Aria di censura globale? Eppure in sostegno di Salafistes era intervenuto sulle colonne del quotidiano francese Le Monde, Claude Lanzmann, il regista di Shoah, personalità molto influente in Francia, chiedendo ai ministri Valls (interni) e Pellerin (cultura) di non bloccarlo o vietarlo ai diciotto anni (come è accaduto). «L’ultimo divieto di un film data 1962, durante la guerra di Algeria quando la polizia parigina gettava nella Senna i manifestanti in favore dell’Fnl (il Fronte di liberazione nazionale algerino, ndr)» scrive Lanzmann. Che definisce Salafistes «un capolavoro di intelligenza illuminante… Ci dice della vita sotto la sharia come mai ha fatto nessun specialista dell’Islam…».

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Ma cosa spaventa tanto nel film dei due registi, uno Salem, giornalista mauritano, l’altro Margolin autore del libro L’Opium des talibans (2001)? Molte cose, che poi dividono anche i loro sostenitori e detrattori. Una delle accuse principali è di non avere «sfumato» la scena dell’assassinio di Ahmed Merabet, il poliziotto ucciso durante l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo, sequenza giudicata particolarmente cruda dai sindacati di polizia – e che peraltro Margolin si era impegnato a modificare. Ma è soprattutto la mancanza di una presa di posizione netta, una sorta di guida per il pubblico, la critica principale mossa ai due registi, i quali invece lasciano la parola alle immagini e ai loro «protagonisti»: i militanti radicali islamici leader di Al Qaeda, del Maghreb islamico, i capi religiosi ponendo così lo spettatore con chiarezza di fronte alla retorica salafista. «Volevamo fare ascoltare le loro parole, la loro ideologia,mostrando come possono condurre al terrorismo. Abbiamo scelto di dare ascolto a frasi che non preferiamo non sentire da chi ci fa la guerra lasciando libero lo spettatore di farsi una sua opinione» ha spiegato Margolin.

Girato in Mali, Iraq, Algeria, Tunisia, Mauritania tra il 2012 e il 2015 Salafistes mostra la vita quotidiana della jihad e sotto la sharia: da Timbuktu, nella primavera del 2012, prima dell’intervento francese, alla Mauritania seguendo i teorici del salafismo, alla Tunisia con gli estremisti del gruppo Ansar al Charia. Salem è uno dei pochi giornalisti riusciti a entrare allora a Timbuktu dove gira scortato dalla polizia islamica che pattuglia le strade, armata di kalashnikov, fermando le donne il cui velo non è messo in modo corretto, tagliando pubblicamente le mani ai ladri, ai quali però viene assicurata assistenza medica, frustando e lapidando chi viene riconosciuto colpevole dal tribunale islamico.

Chi sono i teorici del terrorismo islamista? Con quali discorsi conquistano i migliaia di jihadisti, dai confini del Sahel alle città occidentali ? C’è un giovane imam, che predica a Nouakchott, si chiama Mohamed Salem Madjissi e le sue preghiere arrivano fino a Raqqa, in Siria, la «capitale» del Daesh. «Mohamed Merah (l’autore degli attentati di Tolosa, che ha ucciso sette persone, ndr) è il frutto spinoso che la Francia ha coltivato. Ciò che ha fatto serve la causa dei musulmani» dice. Nulla viene risparmiato dell’applicazione della sharia, nessuna pietà è concessa. L’orrore delle peggiori dittature. Ma certo la censura non aiuta a capire meglio cosa sta succedendo in questi tempi.