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«Io con le parole faccio cose». È questo il primo verso della raccolta poetica di Anna Toscano, Una telefonata di mattina (La Vita Felice, pp.78, euro 12), con la prefazione di Valeria Viganò. L’incipit ci riporta alla celebre frase di morettiana memoria «faccio cose, vedo gente»: anello di congiunzione tra generazioni. Quell’esserci vagamente diventa allora «un caffè un cinema / una telefonata di mattina per dire poi passo / o per sentire / prendo lo scooter e vengo da te».

L’immaginazione corre verso uno sfondo di città, una casa, una cucina, un divano col cellulare appena lanciato sopra. Potrebbe essere Venezia, o Milano, o Affori, chissà… qualcuno s’appoggia alla ringhiera di un balcone di Affori, qualcuno si muove all’interno: «faccio un risotto». Qualcuno spolvera il tavolo rosso, ascolta Maestro Galindo a Radio Cultura, qualcun altro dà da mangiare al gatto. Ma poi, si volta pagina e compare altro mondo: compare il Brasile, e poco più in là il vento sul Bosforo, compare Rio de la Plata, compaiono quindici uruguaiani al Tequila Restaurant di Broadway. «Mi confondo, perdo l’orientamento:/ essere ovunque e in nessun posto / la domenica pomeriggio».

In Una telefonata di mattina troviamo un tono retrò e futuro insieme, un raccontarsi per esperienza come quando si compila un curriculum vitae, è tutto un dire «cosa faccio» in poesia. Certo, poesia è questo stare nel linguaggio per esperienza, come guardandosi da fuori in una specie di nostalgia del reale mentre dai versi sale un tono ironico, una soavità da spaesamento: «tutti a superare da destra, nessuno che cucini più una minestra». Eppure serpeggia un tratto dolente, una malinconia che non diresti: «ti cadono i capelli, mamma, da quando sei entrata qui». C’è un tu, c’è un luogo, c’è un quando. Nei versi di Anna Toscano la parola non si scolla dal reale, ma forse di più pesa la restituzione d’un mondo dove gli accadimenti si danno omogenei, con lo stesso peso, qui come in Uruguay o chissà dove, così vicino, così lontano. Fino a un tavolo di marmo chiaro, fino a una telefonata di mattina. «Non si torna indietro / mi dici mia cara». Ma indietro dove?

Il libro raccoglie 49 inediti e 23 estratti da testi già editi. La prefazione di Valeria Viganò addita quest’andare abitando tra sabbia e asfalto. Questo muoversi facilmente tra continenti e la tristezza dell’acqua che scende da un lavandino intasato.
I versi di Una telefonata di mattina, squillano semplicemente come un campanello, una suoneria, soprattutto nella parte che riunisce gli inediti. Il mondo è sottosopra, come in poesia («non ci sono più regole / non ci sono più codici / che dire poi dello stile?»).
I vivi, i morti, il muso di qualche cane che spunta da una porta socchiusa, e «dentro al costato / tenevo della moquette a forma di cuore, certo marca Ikea». Spostarsi, muoversi interiormente e sulla faccia della terra, andare con bagaglio leggero.