Gli occhi spiritati di Mered continuano a perseguitarlo nei suoi sogni. Birhan non dimenticherà mai quello sguardo. Le cicatrici sulla schiena glielo ricordano ogni giorno. Il «Generale» gli ha rovinato la vita. Birhan, sta provando a costruirsene una nuova, lontano da Asmara, dalla Libia. Dal 2014 vive in Svezia. Status: rifugiato. Di più: martire.

Venduto dai trafficanti ai beduini nel bel mezzo del deserto, questo ragazzo di appena 32 anni, è morto e risorto più di una volta. Birhan non è il suo vero nome. A luglio, di sua volontà, è venuto a Palermo a portare la sua testimonianza al processo preliminare che vede imputato il ragazzo sospettato di essere il «Generale». Le sue vere generalità le ha fornite all’avvocato e preferisce che il suo nome non venga pubblicato dalla stampa. Lui che Mered lo ha conosciuto, vorrebbe vederlo dietro le sbarre.

Quando hai incontrato il Generale per la prima volta?

Era il 2011. Avevo lasciato l’Eritrea e mi misi in viaggio per raggiungere il Sudan. Ci arrivai a piedi. Una volta giunto a Khartum alcuni amici eritrei mi dissero che se volevo andare in Europa dovevo contattare un gruppo di trafficanti che organizzavano i viaggi dalla Libia. Uno di loro era Mered. Mi hanno detto che era originario di un villaggio vicino Asmara che si chiama Mekerka. Lo contattati tramite un suo faccendiere e incontrai per la prima volta il trafficante ad Omdurman, sulla riva occidentale del Nilo. Era insieme ad altri uomini. Ci diedero da bere e ci dissero che avremmo dovuto pagare 3.000 dollari.

E poi cosa è successo?

Ci fecero salire su un camion. Chiusero a chiave il portellone e viaggiammo per diversi giorni, dopo aver attraversato il Nilo. Ci fermammo in una connection house nel Sinai, al confine con Israele. Apparteneva a dei beduini. Mered confermò ai beduini che io ero tra quelli che avevano saldato il conto per il mio viaggio. Ci comunicarono che il giorno dopo saremmo partiti per raggiungere la Libia. Ma non fu così.

Ovvero?

Mered ci aveva venduti ai beduini dopo aver intascato i nostri soldi. Quel bastardo ci aveva fottuti. E lì ha inizio il mio calvario…

Cosa ti è successo alla schiena? Chi ti ha fatto quelle cicatrici?

I beduini. Ci hanno torturato, seviziato, ci picchiavano ogni ora. Dicevano che avremmo dovuto pagare 50.000 dollari per la nostra liberazione. E intanto ci picchiavano, stupravano le donne in branco, scioglievano la plastica sulle nostre spalle, ci bagnavano e poi ci davano una scossa elettrica della potenza di 360 watt. Ci costrinsero ad avere rapporti sessuali tra di noi. Oppure ci facevano cantare per 10 ore di fila, solo per assetarci e vietarci poi di bere. In tanti morirono. Durò 10 mesi.

Come sei sopravvissuto?

La mia famiglia riuscì a mandare altro denaro. Ma ovviamente non avevano 50,000 dollari per il riscatto. Non bastò per beduini, che si tennero comunque i soldi e continuarono a torturarci. Ricordo solo che un giorno caddi stremato a terra. Devo aver perso conoscenza perché mi risvegliai coperto di sabbia nel deserto. Mi trovò un camionista e mi accompagnò all’ospedale militare di El Arish, in Egitto. Mi deportarono in Etiopia insieme ad altri 700 eritrei. Fui costretto a rifare nuovamente tutto il viaggio, dall’inizio.

E Mered? L’hai rivisto?

Sì, quel figlio puttana era a Tripoli. Stavo nella sua connection house. Lavoravo come muratore per ampliare strutture che avrebbero ospitato altri rifugiati in attesa di partire. Avrei voluto mettergli le mani addosso, ma non potevo. Dovevo starmene all’ombra e sperare di partire al più presto. Non avevo raggiunto la Libia per uccidere Mered. Ero giunto a Tripoli per arrivare in Europa. A dicembre del 2013 sbarcammo in Sicilia.

Perché sei andato a Palermo a testimoniare?

Sto raccogliendo prove tra i migranti che hanno conosciuto Mered come me. Voglio denunciarlo. Ho già contribuito ad una indagine nei suoi confronti in Eritrea, associandomi alle famiglie delle vittime dei beduini. E questo ragazzo rinchiuso a Palermo non è lui. Non è Mered. Purtroppo quel bastardo è ancora a piede libero. Ma la vita continua. E io ce la sto mettendo tutta. Ma non passa giorno in cui non pensi a ciò che Mered mi ha fatto.