In occasione del mese del documentario che si tiene alla Casa del Cinema di Roma, giovedì 20 febbraio (Sala Kodak ore 18) si presenta il libro «Cercando la rivoluzione, Ansano Giannarelli: i film, le idee» (ed. Donzelli, 22 euro) curato da Antono Medici che in una ricca introduzione ripercorre la sua «militanza» cinematografica, la sua ricerca, un’occasione importante per ricordare il documentarista di recente scomparso, presidente dal ’92 al 2004 dell’Archivio del movimento operaio e democratico che aveva contribuito a fondare. Il libro contiene interventi e memorie di quanti lo hanno affiancato nel lavoro, interventi teorici e un prezioso dvd, il film «Non ho tempo» che Giannarelli diresse nel 1972 nelle due versioni televisiva e per le sale (qui in versione integrale), interpretato da Mario Garriba, il matematico francese Évariste Galois ucciso in duelo a 21 anni, uno dei fondatori dell’algebra astratta, presentato alla Semaine de la critique di Cannes nel ’73, opera che è patrimonio emotivo-visivo di tutta una generazione che vedeva in quel periodo di restaurazione (siamo nella Francia nel 1830) lo specchio di vicende appena concluse, una vita espressa in chiave sperimentale, come ci si aspettava che sarebbe stata anche la nostra.

Altro suo film emblematico fu «Sierra Maestra». Come scrive nei suoi ricordi il direttore della fotografia Marcello Gatti: «Il primo riscontro venne da Marlon Brando che mi accettò molto volentieri per dirigere la fotografia di «Queimada»perché conosceva e amava «Sierra Maetsra». La sua prima opera riscosse subito grande successo, candidata all’Oscar: «16 ottobre 1943», primo suo film prodotto da Marina Piperno che insieme a lui e a Piero Nelli fondò poi nel ’62 la Reiac. Raccontava la retata degli ebrei nel ghetto di Roma (ed è appena stato programmato al cinema Trevi nel giorno della memoria) e si manifestava subito il suo complesso interesse per la storia, sostenitore dell’importanza del documentario, un genere allora tutt’altro che alla moda come oggi, un filo conduttore che lo porterà anche a collaborare con Zavattini in «La veritàaaa».

Dal saggio (un’anticipazione) di Pierre Sorlin: «Se dovessi riassumere in una parola il ricordo che mi ha lasciato Ansano Giannarelli direi che è stato uno scopritore. Do all’espressione un significato allargato, voglio dire che attraverso un impresisonante numero di documentari accessibili a tutti, al medesimo tempo onesti, accurati, eleganti, ha rivelato a un vasto pubblico problemi e situazioni dei quali i mass media parlavano poco. Negli anni Sessanta mostrò come l’Africa, appena ottenuta l’indipendenza, rischiava di essere ri-colonizzata dal capitale occidentale.

Fu tra i primi a segnalare la crescita delle rivendicazioni popolari in America Latina e la minaccia di una reazione autoritaria dalla Cia. Si dedicò alla divulgazione di lavori scientifici difficilmente comprensibili. Difese la memoria della Resistenza. Evidenziò il contributo dei comunisti alla nascita e alla difesa della democrazia in Italia…In Non ho tempo ha rilevato l’apertura di mente di évariste Galois, la sua convinzione che ogni passo avanti, lungi dal risolvere un problema (risolvere vuol dire fissare, stabilire) generava nuove interrogazioni».

E ancora Daniele Vicari: «Non posso non dimenticare una lunga chiacchierata con lui sui fatti del G8 di Genova, durante la quale mi fece molte domande. Gli raccontai di Diaz e del taglio che avrei voluto dare al film e lui parlò per due ore del rapporto la la «memoria» e i movimenti. E lì scoprii che l’idea benjaminiana secondo la quale alla «memoria» bisogna preferire la «rammemorazione» ci univa sia sul piano intellettuale che su quello squisitamente cinematografico. Ricordare non basta, bisogna mettere in moto un processo di comprensione degli accadimenti, in modo che susciti in noi un ruolo attivo, emotivo e intellettuale insieme. Un film non deve essere «storicistico» deve proporre una visione delle cose, un punto di vista sul mondo, deve fare «il contropelo» alla storia. Devo dire che quella chiacchierata mi ha permesso di fare chiarezza nei miei intenti».

In «Non ho tempo» Fernando Birri interpreta la rivoluzione, Filippo Buonarroti entrato nel giro dei giacobini e di Robespierre. Scrive: «La rivoluzione francese del 1789, quindi «liberté, égalité, fraternté». Queste parole, dette oggi, sono «demodé». Mi dispiace per la Storia, perché se suonano «demodé» vuol dire che noi siamo più avanti della Storia».

Intervengono all’incontro di giovedì 20 , introdotto e coordinato da Steve Della Casa, dopo un saluto di Christian Carmosino: Ugo Adilardi, Carlo Felice Casula, Cecilia Mangini, Citto Maselli, Stefano Rulli, Paola Scarnati, Ettore Scola, Daniele Vicari.