«Non darei una lettura nazionale alle elezioni di domenica», assicura Matteo Renzi. Se non è un’ennesima bugia, è una mezza verità. Dal punto di vista nazionale, non sarà tanto la vittoria o la sconfitta del candidato governatore a pesare, quanto l’effetto sondaggio. Se il Pd dovesse scendere pericolosamente rispetto al trionfo della primavera scorsa, il che significa ovviamente un calo sensibile e non una fisiologica diminuzione dei consensi, il segnale d’allarme sarebbe eloquente. Tanto più che arriverebbe dopo il sondaggio della settimana scorsa, che a palazzo Chigi brucia molto più di quanto Renzi sia disposto ad ammettere.
Non si tratta di un fattore secondario. In privato Renzi ha sempre confermato quel che ripete da mesi in pubblico: non ha nessuna intenzione di arrivare al voto nella prossima primavera. Però, aggiunge, la scelta cambierebbe se i sondaggi, o un voto che equivale a un maxisondaggio, dimostrassero che la sua popolarità va calando davvero. L’eventualità del voto, dunque, non è fuori gioco. Per Renzi, però, mantenere aperta questa possibilità è una corsa contro il tempo. L’ultima data utile è infatti la metà di giugno. Alfano gli ha chiesto mesi per ridisegnare i collegi, almeno quattro. Anche a mettergli tutta la fretta possibile, non potrà farcela in meno di tre mesi, ai quai vanno aggiunti i 45 giorni necessari per la campagna elettorale.

Alcune delle ipotesi in circolazione da settimane e mesi sono destinate a essere cancellate da Napolitano. Il presidente della Repubblica non accetterebbe pasticci come due sistemi di voto diversi per le due camere e neppure di ignorare la Costituzione, laddove afferma che il voto per il Senato è su base regionale. Dal momento che al Senato non si è mai votato con le preferenze, la possibilità di votare a breve con il consultellum è più teorica che concreta. Bisognerebbe infatti adattare quella legge al Senato, ci vorrebbe tempo e la stretta finestra per votare prima dell’estate si chiuderebbe.
L’unica possibilità è quindi quella alla quale ha fatto cenno la presidente della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama Anna Finocchiaro: una norma che estenda l’Italicum al Senato. Non è una cosa facile: l’accordo di massima con Fi e quello dettagliato con l’Ncd si basano proprio sull’impossibilità di votare con l’Italicum in entrambe le camere. Ci vorrebbe quindi una forzatura estrema, forse addirittura un decreto. E’ un’enormità, ma di quelle alle quali Renzi è più o meno abbonato.

Non basterebbe. Allo stesso tempo il premier dovrebbe convincere Napolitano non solo a rinviare le sue dimissioni, ma anche a tornare sulla decisione di non sciogliere mai più le camere nel corso del suo mandato. Le pressioni sul Colle in questo senso sono massicce. Però, al momento, chi ha avuto modo di verificare gli umori del presidente ha riportato l’impressione che Napolitano sia più che mai deciso ad andarsene nelle prime settimane di gennaio e comunque a non gestire le prossime elezioni. Del resto, il fatto che negli ultimi due giorni abbia per vie traverse reso nota la scelta di non firmare una riforma elettorale di discutibile costituzionalità sembra dimostrare che, ancora una volta, Napolitano intende fare il possibile per evitare il voto anticipato. Ma si sa che Renzi può essere molto insistente: la partita non è del tutto chiusa.