Manca una casella sola: non la più importante ma la più difficile da riempire perché, a norma di legge Gasparri, richiede l’accordo del Pd con Forza Italia (o con l’M5S, ma si sa che a quella porta Renzi non ha alcuna voglia di bussare). Serve il placet di Silvio Berlusconi, e l’ex cavaliere ha tutte le intenzioni di farlo sudare all’ex socio del Nazareno.

Per la presidenza Rai, Renzi era certo di aver chiuso i giochi con la candidatura di Antonella Mansi. Toscana, che a palazzo Chigi è sempre un titolo di merito, vicepresidente di Confindustria, esperta in management. Pareva perfetta per fare il paio con il direttore generale in pectore Antonio Campo Dall’Orto, che invece di televisione ne capisce ma di management è quasi digiuno. Invece Silvio ha mostrato il pollice verso, troppo vicina a Denis Veerdini, e la giostra è ripartita.

Per l’ex cavaliere è importante che a indicare il prossimo presidente Rai sia lui, e che il particolare sia chiaro a tutti. Dunque da palazzo Grazioli è partita ieri pomeriggio una classica rosa di nomi, giudicati dal Pd inaccettabili tutti tranne uno: Barbara Palombelli, giornalista, donna di mondo, consorte dell’ex sindaco di Roma Rutelli. Di nuovo pareva fatta.

Poi un sms della diretta interessata, inviato per declinare e ringraziare, ha riaperto i giochi. Berlusconi punta su Piero Ostellino, che però non è gradito al Pd.

Sarebbero in salita le quotazioni di Stefano Folli, ex direttore del Corsera ma crescono anche quelle di Marcello Sorgi, già direttore della Stampa. Tutte ipotesi realistiche, ma che non vanno oltre l’immancabile carosello di nomi che accompagna sempre le nomine Rai. La partita si chiuderà probabilmente solo oggi, con Renzi tornato dal Giappone e ancora convintissimo che la presidenza debba andare a una donna, meglio se vicina a Confindustria.

Tutto a posto (si fa per dire), invece, per quanto riguarda il nuovo cda. La commissione di vigilanza Rai lo ha nominato ieri pomeriggio in tempi record e seguendo tutte le peggiori regole degli ultimi decenni. Lottizzazione portata alle estreme conseguenze, peggio che nei tempi più cupi della greppia democristiana e socialista.

Criteri di selezione basati, con qualche eccezione, sulla logica sempreverde della fedeltà al capobastone di turno.

L’eccezione si chiama Carlo Freccero. Ha ottenuto sei voti: quelli dell’M5S e di Nicola Fratoianni, unico Sel in Vigilanza. La miglior candidatura in campo, per quasi unanime consenso, e gestita con massima trasparenza dall’M5S, che ha scelto un candidato non sulla base della fedeltà e dell’obbedienza, ma anche da Sel, che gli aveva offerto l’appoggio già da prima della mossa, peraltro ottima, dei pentastellati. Il Pd aveva a disposizione quattro nomine: una la ha ceduta, a norma di Cencelli, ai centristi che hanno scelto Paolo Messa, ottimo professionista, uomo chiave della comunicazione Udc da anni e anni.

Per i restanti tre posti, la minoranza aveva proposto una candidatura a sorpresa: quella dell’ennesimo ex direttore del Corrierone, Ferruccio De Bortoli. Difficile indovinare in base a quale logica sia stata avanzata la sua candidatura. Sarebbe stato facile arrivare all’elezione di Beppe Giulietti o Vincenzo Vita, eterni candidati della sinistra, cercando un accordo con Sel e con l’M5S. Diversificando i voti, si sarebbe arrivati quasi certamente a portare in cda sia Freccero che il candidato della sinistra Pd.

La minoranza ha invece preferito evitare trattative con i pentastellati e con Sel: «Noi siamo del Pd, il nostro candidato deve essere inserito nella rosa di questo partito non concordato con altri partiti».

Ragionamento comprensibile, tenendo conto di quanto tesi siano diventati i rapporti tra maggioranza e minoranza nel partito sempre più privato e personale di Matteo Renzi.

Solo che proporre un candidato per Renzi inaccettabile come De Bortoli senza aver prima costruito una rete con forze politiche diverse dal Pd significava solo mandarlo al macello. In mattinata la proposta è stata così bocciata senza appello.

I tre consiglieri sono quindi tutti espressione della maggioranza Pd: Guelfo Guelfi, ex Lotta continua, vicinissimo a Renzi, già suo spin doctor e a volte ghost writer; Rita Borioni, assistente del presidente della commissione Cultura al Senato Marcucci, ex assistente di Matteo Orfini, che la ha scelta e imposta; Franco Siddi, ex presidente ed ex segretario della Fnsi, non del tutto allineato a Renzi ma neppure un dissidente.

Al centrodestra, grazie alla catena di errori inanellata dalla minoranza Pd è riuscito il colpaccio di eleggere due consiglieri: Arturo Diaconale, giornalista da sempre vicino a Fi, e Giancarlo Mazzuca, ex direttore del Resto del Carlino e del Giorno, un berlusconiano doc ma non sgradito alla Lega. Al capolavoro di Fi, di cui è stato principale artefice Maurizio Gasparri, corrisponde la disfatta dei verdiniani, che non hanno letteralmente visto palla né pesato in alcun modo sulle nomine.

Messo in piedi un cda che meno innovativo non lo si poteva immaginare, il governo cercherà ora la quadra sul presidente, col rischio di dover mendicare in giro i tre voti della minoranza Pd che probabilmente restituirà lo sgarbo subito ieri, poi nominerà Campo Dall’Orto direttore generale. Entro pochi mesi avrà in Rai gli stessi poteri che avevano i grandi proconsoli democristiani prima del 1975 e anche di più. Risponderà a un uomo solo: Matteo Renzi.