Lunedì sera, in Colombia, una piazza stracolma vestita di bianco ha accolto la storica firma degli accordi di pace tra governo e Farc. In Plaza de la Banderas, a Cartagena, gran maestro di cerimonia, il presidente Manuel Santos, attorniato dai capi di stato di tutto il continente. Al suo fianco, il Segretario delle Nazioni unite, Ban Ki-moon e i rappresentanti dei paesi facilitatori che hanno accompagnato quattro anni di negoziato: Norvegia, dove hanno avuto inizio i colloqui tra le parti, Cuba, che ha ospitato le trattative, Venezuela, la cui diplomazia di pace ha messo in moto i dialoghi, e Cile. Il comandante Rodrigo Londoño (Timoshenko) ha rappresentato la controparte, la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc).

Si chiudono così, almeno sulla carta, 52 anni di conflitto armato. A seguire, il referendum del 2 ottobre che passerà la parola ai cittadini. Le inchieste dicono che voterà a favore il 72%. In sospeso, le trattative con l’altra guerriglia storica, quella guevarista dell’Eln, che ha rispettato la cerimonia con una tregua, ma che non ritiene soddisfacenti gli accordi dell’Avana.

I negoziati tra Eln e governo si sono aperti il 30 marzo a Caracas, e subito arenati. Oltre i simboli e le cerimonie, in un paese di profonde e pervicaci storture, il post-accordo è tutto da costruire. A Cartagena, le Forze armate, ci hanno tenuto a farlo sapere, interpretando una scena centrale, che ha condensato più di tutte le minacce incombenti sull’accordo. Mentre Timoshenko terminava il suo discorso, svestendo di retorica la parola pace, tre aerei da guerra si sono alzati in volo in un fragore assordante.

Il leader delle Farc è apparso sorpreso, poi ha ripreso il controllo: “Questa volta vengono a salutare la pace e non a scaricare bombe”, ha affermato. Si riferiva agli attacchi aerei che, per tanti anni, hanno falcidiato la guerriglia con omicidi mirati e bombardamenti a tappeto finanziati dai miliardi Usa del Plan Colombia, ora rinnovato in altre forme. Attacchi particolarmente intensi quando Santos è stato ministro della Difesa di Alvaro Uribe.

Il presidente ha rivendicato il suo ruolo di “ferreo avversario” della guerriglia “in tempo di guerra”. Ma “questi aerei erano un saluto alla pace”, ha detto oscillando tra grandi questioni e retorica da cerimonia: con un occhio al Nobel e l’altro alle alleanze del continente che gli sono proprie (quelle neoliberiste). Dopo un omaggio a Garcia Marquez, ha ribadito la “distanza profonda” che esiste tra il suo modello di società e quello avanzato dalle Farc e dalla sinistra, ma ha affermato di essere disposto a difendere “il diritto delle Farc a esprimere le proprie opinioni in democrazia”, e ha accompagnato il grido della piazza “Mai più guerra”.

Un auspicio che Timoshenko ha prospettato con realismo, rinnovando l’impegno delle Farc a proseguire in altre forme la lotta per i medesimi ideali: “Questo non è un abbraccio tra il capitalismo e il socialismo – ha affermato – continueremo a batterci per i nostri ideali, per una società senza discriminazioni, che metta fine al patriarcato, alla guerra, strumento favorito dei potenti per imporre con la forza e la paura l’ingiustizia ai più deboli”.

Poi, Timoshenko ha reso onore agli assenti: al fondatore delle Farc, Marulanda, ai comandanti uccisi, ai prigionieri politici, e ha chiesto perdono “per il dolore provocato”. Le Farc – ha promesso – lavoreranno “per la rinascita etica della Colombia, rinnovando gli ideali di Eliecer Gaitan”, il leader liberale il cui assassinio, il 9 aprile del 1948, sancì la chiusura degli spazi di agibilità democratica per l’opposizione in Colombia. Timoshenko ha ringraziato in particolare l’apporto di Cuba e del Venezuela, ricordando l’impegno di Hugo Chavez, rinnovato da Nicolas Maduro.

Dietro le quinte della cerimonia, intanto, continuava la guerra sporca contro il governo bolivariano. Mentre Maduro incontrava John Kerry a margine dell’evento, il presidente del Perù Pablo Kuczynski (uomo del Fondo monetario internazionale) dichiarava: “La mia agenda è quella di parlare con i leader di Brasile, Cile, Colombia e Messico per promuovere una risoluzione comune e arrivare a una transizione ordinata in Venezuela, nei prossimi mesi o entro il 2019”: il progetto avanzato dalle destre venezuelane.