A una settimana dal via, la campagna abbonamenti 2014 presenta i primi conti. In un momento di crisi economica gravissima abbiamo la prova che voi ci siete. In redazione arrivano lettere, abbonamenti e donazioni. E qui in via Bargoni tutto si muove, dalla tipografia al sito fino alle nuove app per Android in fase di sviluppo.

Il manifesto ha 3.611 abbonati (1.984 cartacei e 1.627 digitali). Un risultato importantissimo per la nostra diffusione in edicola. Ma l’asticella che abbiamo di fronte è altissima e ancora di più. Per noi il 2014 non è un anno come gli altri. La campagna abbonamenti stavolta serve a prendere la rincorsa per fare il salto con l’asta più difficile: l’acquisto della testata. È un salto che né noi né voi possiamo fallire. Il «manifesto» deve continuare a essere un giornale libero da padroni e padrini ma anche dai liquidatori venuti a pagare i nostri debiti del passato. La testata prima o poi sarà messa in vendita e gli abbonamenti sono l’unica forza che possiamo mettere nelle gambe per questa rincorsa finale e tutta in salita.

Dobbiamo arrivare a 5mila abbonati entro gennaio. Sappiamo che è un obiettivo difficilissimo ma millecinquecento abbonamenti in più all’unico giornale che resta di tutta la sinistra italiana è una scommessa che mai come oggi vale la pena fare. «È tempo di reagire», ci ha detto nei giorni scorsi Carlo Freccero. Ecco come lo faremo.

Il primo motore della campagna abbonamenti è il nuovo sito che abbiamo pubblicato (un po’ di corsa, ve lo confessiamo) la sera del 4 dicembre. La migrazione dal vecchio al nuovo sistema è stato un passaggio un po’ traumatico per alcuni degli abbonati storici ma il sito appena nato è già un successo che ci conforta: mentre scriviamo conta 4.621 persone registrate con nome, cognome. indirizzo e email.

Qualcuno si è sentito disorientato o non ha completato i passi necessari ma speriamo di averlo assistito al meglio delle nostre forze. Tenete presente che qui al manifesto l’«assistenza» ai lettori la fanno direttamente giornalisti e poligrafici mentre pensano il giornale del giorno dopo (un po’ come se Totti vendesse i biglietti della Roma tra un allenamento e l’altro). C’è quindi uno scambio umano e politico che va al di là della singola questione tecnica risolta o non risolta. Non sappiamo dire se sia meglio o peggio. Certo è che non c’è nessun giornale in cui un caporedattore deve saper sostituire la password di un abbonato che l’ha dimenticata. Qui è così. E chi dubita di scelte poco «comuniste» a proposito di Apple o PayPal farebbe bene a mettere nel conto anche questo. Un collettivo di lavoratori che edita il proprio giornale sceglie anche una rivoluzione permanente nei ruoli e nelle mansioni. La campagna abbonamenti qui è un lavoro collettivo. È faticosissimo – non dimenticatelo quando telefonate da tutta Italia o scrivete un’email urgente a 10 indirizzi diversi – ma il risultato è che mille persone al giorno (noi qui siamo meno di 5 compagni a «gestirvi» tutti) hanno scelto di iscriversi gratuitamente per leggerci e sostenerci. Oppure soltanto per curiosare.

Tutto il giornale infatti è on line dalla mezzanotte di ogni giorno. Disponibile gratis per tutti gli utenti registrati. Sia su Internet che, a breve, anche per gli abbonati Apple e Android. Ci sono altri quotidiani italiani che lo fanno? Che scommettono così tanto sulla propria comunità da affidarsi ad essa completamente e «senza rete». Confidiamo che riconosciate un buon lavoro (se viene fatto) e che decidiate insieme a noi di tornare padroni di qualcosa che ormai diamo quasi per perso: un circolo dell’informazione democratico e trasparente dove ciascuno è libero di leggere quello che vuole perché è stato pubblicato per lui e non, come capita ormai ovunque, per attirare il «traffico» di milioni di utenti o aumentare lo share.

In pochi giorni si è acceso qualcosa di diverso da quasi tutto quello che conosciamo su Internet e che prima in Italia non c’era su questa scala. Sarete voi a decidere se questo esperimento avrà successo o se invece preferite il «rumore» dei siti che ci circondano. Sapete che se superate la soglia di articoli gratuiti (per ora è 20 articoli a settimana, molto generosa, forse troppo generosa) allora dovete abbonarvi, anche solo per un mese (questo sistema semisconosciuto da noi nel resto del mondo si chiama «paywall», è molto diffuso anche se con risultati alterni da testata a testata). Alcune categorie di articoli saranno sempre leggibili per tutti, per esempio gli editoriali, i blog, i dossier e altri in via di implementazione.

Ma non basta. Chiedere un abbonamento per leggere qualcosa ha senso solo se sai che non c’è nessun altro che paga al posto tuo. Il manifesto esiste se voi ci siete. Altrimenti sparirà. La nostra perciò è una sfida politica radicale, persino estrema. Ma coerente con ciò che siamo, un editore politico collettivo che pone in più vaste mani il destino di questo giornale. E lo facciamo davvero, non in senso metaforico.

Il portale del manifesto è l’unico che vuole provare a vivere senza pubblicità. È una sfida che lanciamo insieme ai nostri lettori a tutto un modo di concepire la rete. Costruire un sito senza pubblicità (oltre ai mancati ricavi) è importante soprattutto dal punto di vista editoriale. Vuol dire costruire un sito «pulito», senza «cookie» che tracciano gli utenti (sono pezzettini nascosti di codice che registrano le vostre scelte e i vostri clic), senza strani uffici che decidono dove posizionare gli articoli per catturare i vostri occhi. Con un linguaggio adeguato e non urlato (niente titoli maiuscoli, ad esempio). Non abbiamo nessun bisogno di «tracciarvi» perché noi non vogliamo «contatti» da vendere agli inserzionisti. Non alimentiamo i commenti per attirarne altri. Vogliamo semplicemente offrirvi articoli di qualità che, se troverete interessanti oltre una certa soglia, potrete acquistare abbonandovi al prezzo più equo possibile per noi e per voi (meno di 50 centesimi al giorno, credeteci, è davvero impossibile). È una sperimentazione continua dove cerchiamo di offrirvi un «servizio» più che un «prodotto» vero e proprio.

Perciò il nostro sito galleggia nel bianco (non ci sono banner pubblicitari né spot), mette al centro il testo e le foto, usa caratteri grandi e la stessa tipografia su tutti i dispositivi perché ciò che conta è l’informazione che avete chiesto e nient’altro. Quando entrate in un articolo siete lasciati in pace, il sito non contiene null’altro che voi e la vostra scelta. Tutto il resto sparisce. Provate.

Questa impostazione editoriale insolita, almeno a giudicare dalle email che ci scrivete, finora ha generato due tipi di reazioni: da un lato c’è chi scivola su queste pagine a tempo lento e senza attrito – un’oasi serena e silenziosa, quasi una biblioteca più che un bazar in cui ciascuno urla «leggi qui, leggi qui» – cerca ciò che gli interessa o scopre cose nuove, esplorando. Dall’altro più di qualcuno si sente perso senza i punti di riferimento tradizionali e gerarchici (sezioni, indici, segnali stradali della rete). E non è solo una questione di «usabilità» o «grafica» (che pure sono importantissime e miglioreranno nei prossimi giorni).

Metteremo tutto quel che manca ma l’impressione (almeno a giudicare da qui) è che siamo tutti completamente disabituati a vivere in un sito in cui non c’è il timore che l’ultima notizia cancelli quella che ci interessava, o in cui ci sia silenzio invece che rumore. In cui il tempo non sia l’unica misura che conta. Qui non dobbiamo «attirare» nessun altro al posto tuo.

La nuova veste grafica è provvisoria ma i primi dati sono già significativi: 384.090 le pagine viste da 76.605 utenti unici in 121.026 visite nei primi quattro giorni. È solo un punto di partenza. Il primo passo è il più difficile, ma è incoraggiante. Nei prossimi giorni rilasceremo gradualmente nuovi «servizi». ciò che conta per noi è la vostra esperienza di lettura. La stessa homepage migliorerà moltissimo nei prossimi giorni però la sua impostazione più da rivista che da quotidiano vorremmo mantenerla. E’ una scelta temeraria ma per chi cerca l’ultimora ci sono siti molto più attrezzati di noi che non ha senso sfidare.

La nostra redazione è piccola ma integrata. Ignorante di Internet ma colta del mondo. Scriviamo il manifesto per passione politica e non per profitto. Tutto questo che valore «di mercato» ha? Quale il prezzo dell’«abbonamento»?

Per interloquire con l’articolo di Carlo Freccero di tre giorni fa, è o non è questo stesso rifiuto dell’omologazione la premessa per un discorso alternativo a quello che ha vinto dagli anni Ottanta in poi? La dimostrazione che è possibile costruire collettivamente qualcosa che esca dal facile solco del «nuovo» senza rinchiudersi automaticamente nelle «certezze» del vecchio?

Questa scommessa sarà vinta soltanto con 1.500 nuovi abbonamenti. Solo così potremo spiccare il salto per l’acquisto della testata. Solo così non lo faremo da soli. E sarà una notizia che nessuno potrà più ignorare.