La sparata di Beppe Grillo contro la pur vaga prospettiva di riforma delle norme sulla cittadinanza era del tutto prevedibile: da lungo tempo la xenofobia è una delle impronte distintive del suo discorso. È da almeno sette anni, infatti, che va sproloquiando di «sacri confini della Patria», di rom romeni come «bomba a tempo» e altre sciocchezze simili.

La sortita del meta-comico va ad aggiungersi al coro stonato degli ostili allo jus soli (come si dice con formula approssimativa), spesso accompagnato dall’orchestra d’insulti razzisti contro Cécile Kyenge. È bastato, infatti, che la ministra dell’Integrazione indicasse questo tema fra le priorità del suo dicastero perché si scatenassero di nuovo gli schiamazzi alla Ku Klux Klan che già avevano accolto l’annuncio del suo incarico.

Tutto questo la dice lunga sulla ciclicità e ripetitività che caratterizzano il dibattito pubblico italiano sulla questione dei diritti dei migranti e delle minoranze: privo di sviluppo e processualità, tendente a riproporre sempre gli stessi schemi, ogni volta immemore di ciò che lo ha preceduto e perciò destinato a un’eterna regressione.

E a proposito di memoria: era il lontano 1997 quando la Rete Nazionale Antirazzista, cartello di associazioni di volontariato, organizzazioni sindacali e gruppi locali, lanciava tre proposte di legge d’iniziativa popolare sui diritti dei migranti, due delle quali sulla riforma delle norme sulla nazionalità (come sarebbe più corretto dire) e sul diritto di voto amministrativo agli immigrati da paesi terzi.
Per ragioni che sarebbe troppo lungo illustrare, quella campagna non andò a buon fine. Nondimeno a quel tempo il dibattito era ben più avanzato di oggi, quando ci tocca ascoltare un ex magistrato, il presidente del Senato Piero Grasso, che evoca, alla maniera leghista, il rischio che frotte di gestanti straniere sbarchino nel Belpaese per garantire ai figli la nazionalità italiana. E discetta di jus culturae, un «concetto» inventato dall’ex ministro Riccardi che non troverete in alcun testo giuridico, in alcun documento di istituzioni internazionali.

Come ricordava Carlo Galli in un articolo sulla «Repubblica» del 2 febbraio 2012, la Costituzione non fa alcun cenno a necessarie basi naturali o culturali della nostra repubblica, la quale, come dovrebbero sapere anche i bambini, «è fondata solo sul lavoro e sui principi della democrazia» e definisce una cittadinanza che non esige uniformità od omogeneità, bensì «uguaglianza e pari dignità».