Di nuovo colpita al cuore Istanbul, megalopoli del Bosforo; colpito il suo più importante aeroporto, terzo in Europa, più di 61 milioni di passeggeri in transito nel 2015, snodo di passaggio tra Occidente e Oriente, che ben rappresenta la singolare posizione culturale e strategica della Turchia in quell’area che compendia due mondi, fondendoli. Il bilancio è severo: 41 morti e 239 feriti, 40 dei quali in condizioni molto critiche. Ieri sera, poco dopo le 22, ora locale, tre terroristi hanno aperto il fuoco ai varchi di ingresso degli arrivi internazionali e si sono fatti esplodere.

Dalle prime ricostruzioni si evince che i terroristi hanno messo in atto un’azione suicida multipla, mostrando una notevole capacità operativa: vestiti di nero e a volto scoperto hanno mosso prima un attacco all’esterno dell’area arrivi, nei pressi del parcheggio per attirare in quel luogo le forze di sicurezza; subito dopo un secondo kamikaze ha raggiunto i banchi del check-in lasciati parzialmente scoperti e infine un terzo terrorista ha approfittato della confusione ed è riuscito a superare gli scanner elettronici di controllo e a farsi esplodere pur essendo ferito. Le telecamere di sorveglianza mostrano la colluttazione tra il kamikaze e un agente della sicurezza che cerca di bloccarlo e lo stesso kamikaze che subito dopo si fa esplodere.

L’attentato non è stato rivendicato, ma le indagini convergono sull’ipotesi che sia stato compiuto da un gruppo jihadista dello Stato islamico. Sembra la stessa dinamica dei sanguinosi attentati di Parigi e Bruxelles. Durissime le prime pagine dei giornali turchi: «Maledizione!»; «Assassini di bambini», «Barbari». La popolazione è sotto shock. Da più parti nell’opposizione in Turchia si denunciano falle alla sicurezza. Sembra che gli attentatori ieri mattina, nelle ore precedenti l’attentato, siano andati in avanscoperta nell’aeroporto per un sopralluogo, come dimostrerebbero alcune registrazioni delle telecamere di sorveglianza.

Il governo turco, per bocca del primo ministro Binali Yildirim, non ha dubbi che si sia trattato di un attacco di Daesh, ma rimanda al mittente le critiche su eventuali errori compiuti dalle forze di sicurezza. Il primo ministro è stato criticato duramente durante una visita in ospedale: «Avete trasformato il paese rendendolo come la Siria!», gridavano alcuni feriti. Un anziano giornalista di Dogan TV, venti giorni fa, durante una trasmissione aveva dichiarato che gli 007 turchi avevano inviato una lettera di avvertimento agli organi di sicurezza dello Stato e ai governatori locali avvertendoli del rischio di un attentato dell’Isis ad Istanbul. Quello di ieri è solo l’ultimo attentato in ordine di tempo; solo nell’ultimo anno ve ne sono stati 17 con 298 morti. Alcuni rivendicati dall’Isis, dopo che la Turchia aveva concesso la base aerea Nato di Incirlik per consentire alla coalizione di muovere i propri attacchi contro il sedicente Califfato; e altri da gruppi armati radicali curdi come i Tak, i Falchi per la libertà del Kurdistan, in risposta ai bombardamenti che il governo turco ha lanciato nell’ultimo anno nelle province a maggioranza curda al confine con la Siria.

Questo attentato avrà conseguenze gravi anche dal punto di vista economico, visto che cade nel vivo della stagione estiva e che molti turisti potrebbero annullare le prenotazioni. Di più: tra qualche giorno avrà inizio il Ramadan e nella megalopoli cominciano ad affluire persone che si recano in visita a parenti ed amici. L’obiettivo dell’attentato potrebbe essere proprio colpire l’economia turca, in uno dei suoi settori vitali, il turismo, indebolendo ulteriormente Erdogan. La Turchia è immersa nel caos regionale con diverse criticità ai confini sudorientali che vanno dalla guerra civile in atto in Siria e Iraq all’irrisolta questione curda con la totale indisponibilità da parte di Ankara ad intavolare un dialogo con il Pkk col quale è ripreso il conflitto dal luglio scorso, degenerato in una guerra contro i militanti autonomisti.

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Non possiamo affermare che l’attentato sia da collegare all’annuncio della normalizzazione dei rapporti con Israele e con la Russia avvenuto appena quattro giorni prima. Un attentato del genere non può essere improvvisato. Piuttosto vi è da dire che la Turchia da mesi bombarda le basi dell’Isis al confine con la Siria, nella zona di Azaz, contribuendo con le basi aere all’arretramento dell’Isis dalla zona di Manbij, centro di comunicazione di importanza cruciale dell’Isis.

Erdogan ha assoluto bisogno di rompere l’isolamento con i suoi vicini regionali per una politica estera disastrosa improntata ad una retorica tutta orientata ad un «nazionalismo ottomano», come sostengono alcuni studiosi. Starebbe dunque per finire la «solitudine preziosa» della Turchia, causa soprattutto di esigenze di sicurezza e interessi economici, «preziosa» secondo la definizione dall’ex primo ministro Davutoglu che ha modellato la politica estera di tutti i precedenti governi dell’Akp.
Perdere amici nella regione, mettendo i confini della Turchia a rischio, deteriorando l’immagine del paese sia in Europa che nel Medio Oriente si è rivelato disastrose. La riconciliazione con Israele era inevitabile dopo che l’Iran aveva firmato l’accordo sul nucleare. Ankara ha urgente bisogno di entrare nella partita siriana dalla quale era rimasta fuori per aver rotto con tutti gli attori in gioco, compresa la Russia. Per questo ha urgente bisogno di ricostruire quei legami interrotti.