La prima cosa che colpisce prendendo in mano il libro Gianni Sassi. Uno di noi (Fondazione Mudima) è la fotografia in copertina. Si tratta di un primo piano in bianco e nero di Sassi, ma l’immagine appare sfocata, solo gli occhi risplendono in maniera nitida. Ci sono delle luci riflesse e, probabilmente, la foto è stata ripresa da dietro un vetro oppure inquadrando uno specchio.
Vengono in mente alcune inquadrature dei film di Reiner Werner Fassbinder in cui, appunto, i personaggi apparivano sullo schermo da dietro un vetro o riflessi da uno specchio, quasi a sottolineare, in maniera inattesa, il sottile e complicato gioco di rimandi che lega l’immagine artistica ai fruitori e al suo produttore. Un linguaggio nuovo, mai visto prima, quello del regista tedesco che come tanti altri cineasti, e non solo, si impose, sconvolgendolo, sul panorama culturale a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Un fiorire di nuove esperienze artistiche e comunicative, e per ciò stesso, e quasi sempre consapevolmente, politiche. Sarebbe possibile stilare una lunga lista di «cattivi maestri», attivi in quegli anni.

Dagli autori del nuovo cinema tedesco e da un regista come Marco Ferreri a poeti come Nanni Balestrini, da pittori come Mario Schifano a uomini di teatro come Carmelo Bene o Dario Fo, a innovatori del fumetto come Moebius e Les Humanoides Associés o Andrea Pazienza e quelli di Frigidaire e del Male, a musicisti come gli Area. E questo senza voler nemmeno accennare agli innovatori nel campo della politica, della psicologia, della psicanalisi, della filosofia. E fra tutti questi maestri, il nome di Gianni Sassi rientra a pieno diritto. Ognuno di loro potrebbe davvero definirlo «uno di noi», come recita il sottotitolo del libro.
Oggi Sassi per la sua attività, che ha avuto luogo dagli inizi degli anni Sessanta con l’agenzia pubblicitaria Al.Sa e si è protratta per un trentennio, sarebbe definito un art director o, più genericamente, un grande comunicatore. Definizioni riduttive – e basta sfogliare le bellissime immagini che compongono il libro per rendersene conto – nei confronti di uno che, certo, ha fatto pubblicità, ma ha anche creato riviste ed etichette musicali, organizzato festival di poesia e concerti. Il tutto con un tocco d’artista, o meglio con un approccio artistico. Arte d’avanguardia sempre, in qualche modo dadaista, situazionista, legata ad esperienze come Fluxus. Comunque la si voglia definire, arte shockante, provocatoria, sicuramente non pacificatoria, meno che mai tranquillamente rilassante. Basti vedere, a titolo d’esempio, il manifesto per il gruppo industriale Busnelli in cui appare Franco Battiato seduto sul prodotto da pubblicizzare, truccatissimo, con la faccia ricoperta di cerone, con pantaloni con la bandiera americana e stivaloni, e la scritta: «Che c’è da guardare? Non avete mai visto un divano?».

Del resto da «una risata vi seppellirà» del ’68 fino all’«avanguardia di massa» del movimento del ‘77, secondo la definizione che ne diede Maurizio Calvesi, l’arte, la comunicazione e la politica andavano a braccetto nelle strade e nelle piazze. E persone come Gianni Sassi sicuramente ebbero un ruolo non indifferente in tutto questo. Come suscitatori, precursori, creatori di nuove forme e di nuovi linguaggi? Oppure come catalizzatori, raccoglitori di istanze che provenivano dalla società?

Forse la risposta può essere trovata nell’inconsueta alchimia che a volte regola i rapporti tra singoli e collettività, quando avviene che le singolarità non si annullano nel gruppo, nella collettività, ma riescono ad esprimersi compiutamente valorizzando il collettivo e quando, nello stesso tempo la stessa comunità, il gruppo si valorizza e cresce grazie all’apporto delle soggettività singolari.
Ed è strano, forse, notare come questa sorta di rapporto emerga con chiarezza leggendo i testi – di amici, collaboratori, artisti e persone che l’hanno conosciuto – che compongono Gianni Sassi. Uno di noi. Ogni contributo, infatti, se da un lato fa risaltare con chiarezza aspetti, sfaccettature, esperienze di Sassi, della sua vita, della sua attività, dall’altro fa emergere la relazione che si era instaurata nel gruppo, per cui appare allo stesso tempo difficile, quasi impossibile e nello stesso tempo, paradossalmente, di una chiarezza abbagliante fino a che punto arrivasse il contributo dell’uno o dell’altro nel determinare le vicende, i fatti, le esperienze.Illuminante, in questo senso, lo splendido Frankenstein e la ballerina, duetto del 1979, di Nanni Balestrini dedicato a Sassi e a Valeria Magli.

Opera inconsueta e affascinante, ricca di immagini, Gianni Sassi. Uno di noi (una mostra con lo stesso titolo a cura di Gino Di Maggio, Sergio Albergoni e Fabio Simion si è tenuta di recente alla fondazione Mudima e ne ha parlato Maurizio Giufrè su Alias del 29 maggio), pur non contenendo alcuna biografia o cronologia nemmeno schematica, riesce davvero a offrire una panoramica completa dell’attività di quello che è stato definito – e chissà se ne sarebbe stato contento – «l’uomo che inventò il marketing culturale». Si possono gustare così le riviste, da bt a Frankenstein fino ad Alfabeta e La Gola, primo giornale dedicato al bere e al mangiare; le mitiche copertine e confezioni dei dischi di Battiato e degli Aerea pubblicate dalla Cramps; le geniali e inconsuete campagne pubblicitarie; i manifesti e le fotografie di eventi come Milano-poesia o Milano-suono e tante altre immagini ancora che davvero riescono a dare il sapore, come del resto i testi raccolti, del lavoro e della personalità di Gianni Sassi. Una persona la cui mancanza, come afferma Jean-Jaques Lebel, ha reso Milano «nient’altro che una città spettrale, una città di merda, come tante altre». E che lo porta a concludere il suo contributo con una vera e propria invettiva, dichiarando: «non me ne frega un cazzo della Triennale, delle stupide vetrine di lusso di via Montenapoleone, delle sfilate ripugnanti di Milano Moda, della Fondazione Prada e della sua merce, della festa di Sant Ambroeus o dell’Expo, come pure della Galleria dove nacque il futurismo, poi colonizzata da Mc Donald’s e infine dalla moda. Finché le nuove leve di indiani metropolitani non faranno tornare lo spirito, la grinta e l’ambiziosa visione di Gianni Sassi, non ho più intenzione di mettere piede a Milano. T’è capì?».