Fioccano novità in prima commissione al senato, la grande riforma renziana continua a cambiare – con i commissari fuori dalla porta e i relatori riuniti con il governo – ma l’aula non può attendere. Già oggi pomeriggio tutti i senatori dovranno discutere un testo che non conoscono (e che ancora non c’è) che cambia un terzo secco della Carta del ’48. Da mercoledì si vota, scavalcando decreti in scadenza. Per il presidente Grasso, malgrado appelli a ripetizione dei pochi senatori contrari, questo precipitoso calendario «è un giusto equilibrio tra chi chiede di fare presto e chi chiede tempo per riflettere e proporre modifiche». Due esigenze evidentemente sullo stesso piano. Anzi, conta di più correre e a dirlo non è più solo Renzi ma anche Napolitano.

L’ultima corsa è quella dei dattilografi del Palazzo sulle tastiere. Sembra un po’ troppo avviare il dibattito su questa «storica» riforma senza neanche fornire i dibattenti del testo finale. Ma la commissione si riunisce ancora stamattina; ieri sera non è riuscita a chiudere, impantanata com’è su un punto rimasto irrisolto dall’inizio: la composizione del nuovo senato. Che sarà popolato solo da consiglieri regionali e sindaci, e questo è chiaro; che non saranno eletti direttamente dai cittadini ma si eleggeranno tra loro, e anche questo Forza Italia l’ha ormai accettato. Ma come si eleggeranno? L’ultimo emendamento della relatrice Finocchiaro risponde in due modi. Rimanda a una futura legge (bicamerale!) la soluzione a regime, ma intanto per accontentare i berlusconiani, che sono in minoranza nelle regioni, inserisce nelle disposizioni finali della legge costituzionale una dettagliatissima disciplina, che ha più il passo del regolamento di condominio che della storia.

Una certezza c’è: i consiglieri regionali voteranno sui liste bloccate, che sono un po’ il marchio di fabbrica del «patto del Nazareno» dall’Italicum in giù, malgrado la censura della Consulta. Il metodo di calcolo sarà proporzionale, con un trattamento di favore per le liste piazzate seconde, il che ha addolcito i forzisti. Per il resto c’è da attendere la legge che regolerà questa inedita elezione di secondo livello, e nel frattempo l’elezione del primo senato sarà un affare complicato ma transitorio. E dal momento che il numero dei senatori è legato al numero dei cittadini residenti nella regione in base all’ultimo censimento, e che i senatori restano in carica per il tempo in cui dura il loro mandato regionale, nemmeno il numero di cento senatori può dirsi sicuro. Potranno, ad esempio, decadere in tre in una regione che ha perso popolazione e può eleggerne solo due.

Da guardare con attenzione anche altre due novità di ieri. La prima viene incontro alle preoccupazioni di diversi senatori, anche i «non dissidenti» bersaniani del Pd, circa l’elezione del presidente della Repubblica. Il «garante» nello schema proposto fino a ieri dai relatori poteva essere eletto da un solo partito dalla quarta votazione. La novità è che è stato alzato il quorum per gli scrutini dal quarto all’ottavo (3/5 dei deputati e senatori) ma sono stati aboliti di nuovo i grandi elettori regionali. Il risultato è che il capo dello stato potrà ancora essere eletto da un solo partito, persino più facilmente (serviranno 366 voti di cui 340 sono assicurati alla camera con l’Italicum) ma dalla nona votazione. Cambia poco, visto che quel primo partito è anche in grado con i suoi voti di bloccare ogni elezione alternativa fino al nono scrutinio. La seconda novità riguarda il referendum. La riforma che dovrebbe avvicinare i cittadini alle istituzioni alza il numero di firme necessarie per quello abrogativo (come già per le proposte di legge di iniziativa parlamentare). Ne serviranno 800 mila (oggi 500mila) ma non sono previste sottoscrizioni online. bene invece che la maggioranza degli elettori (per la validità) venga calcolata su quella delle ultime elezioni politiche.

Il testo della riforma arriva in aula senza che sia stata risolta la questione della sostituzione d’imperio del senatore Mario Mauro dalla commissione. Grasso in giunta per il regolamento ha deciso di rinviare la soluzione a quando sarà superflua. L’unico brivido arriva dalle truppe truppe forziste contrarie alla riforma, che si sono persino autoconvocate (ma alla camera). Berlusconi proverà ancora a imporre a tutti il suo patto con Renzi, ma ha preferito spostare a martedì il confronto interno decisivo.