«A me sembra molto complicato tornare all’eleggibilità del senato, sia da un punto di vista tecnico che politico. L’articolo due della riforma sostanzialmente è chiuso». Così diceva ieri mattina Matteo Renzi. Ed era lo stesso che un mese fa assicurava: «Cambiare la riforma costituzionale? Tornare al senato elettivo? Per me si può fare». Anche il suo intervistatore era lo stesso, il giornalista di Repubblica Claudio Tito – allora su carta, ieri in video. Cos’è cambiato nel frattempo? Il primo Renzi, quello di un mese fa, parla alla vigilia del voto finale sull’Italicum. «Il leader del Pd gioca la carta della trattativa sulla riforma costituzionale», è la sintesi del giornale amico. Nel frattempo il voto c’è stato, qualcuno ha creduto alla promessa e i dissensi non sono bastati a fermare la nuova legge elettorale.

Il paradosso è che ha più ragione il Renzi di oggi che quello di metà aprile. Come sanno bene i deputati della minoranza Pd che avevano provato a cambiare l’articolo 2 della riforma costituzionale, ma erano stati battuti (da un contro-emendamento del futuro capogruppo Rosato) proprio perché al governo interessava approvare la legge in un testo «blindato», non più modificabile al senato. A questo punto un ripensamento sull’eleggibilità dei senatori, per quanto auspicabile, dovrebbe poter contare su un’interpretazione disinvolta del regolamento da parte del presidente Grasso. Che non è impossibile, come dimostrano i precedenti dei «canguri», tutti però consonanti ai desideri del governo. La contrarietà del presidente del Consiglio fa pensare che quella strada debba considerarsi chiusa.

Anche il piano B che Renzi e i renziani stanno offrendo ai sostenitori del senato elettivo può risolversi in una falsa promessa. Dicono che, blindata la riforma, si potrà agire sulla legge attuativa, quella che a regime detterà le regole per la selezione dei nuovi senatori da parte dei consigli regionali. La proposta è quella di rendere riconoscibili i consiglieri-senatori già nel corso delle elezioni regionali, o in alternativa di premiare i più votati. Ma c’è un problema: il nuovo senato sarà organo perpetuo, che si rinnova senza passare per lo scioglimento. L’eventuale nuova legge si applicherebbe dalle elezioni regionali del 2020 e prima di allora (e anche dopo) dovrebbero coesistere senatori con due diverse legittimazioni.
La confusione è probabilmente un indice delle difficoltà che Renzi vede davanti a sé, dal momento che al senato la maggioranza può contare su un vantaggio assai ristretto. È vero che Forza Italia è ormai terreno di conquista, ma dall’altra parte si presenta determinata la pattuglia di venti senatori dissidenti del Pd. Renzi mette già in conto qualche modifica alla riforma costituzionale (magari le stesse che alla camera è stato impossibile discutere), purché il percorso della revisione sia completato entro quest’anno. Eppure ieri ha voluto precisare che «l’Italicum è efficace anche senza riforma costituzionale» – quindi anche se il senato rimarrà elettivo – malgrado si tratti di una legge elettorale riservata alla sola camera.

Italicum che è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale, ma che sarà valido, -per la «clausola di salvaguardia» – solo dal luglio 2016. I suoi avversari nel frattempo si organizzano e Pippo Civati presenterà oggi due quesiti referendari con i quali si possono smontare alcuni degli aspetti più critici della legge: i capilista bloccati e le pluricandidature; «aspetti che turbano», ha detto ieri Romano Prodi, perché «in questo modo si gestiscono dall’alto un numero rilevantissimo di parlamentari». Con il referendum si potrebbe anche pensare di far cadere il turno di ballottaggio, trasformando così l’Italicum in una legge proporzionale nel caso nessuna lista raggiungesse il 40%, soglia prevista per il premio di maggioranza. Ma sono aspetti che andranno approfonditi, dal momento che la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di referendum elettorali è assai rigorosa. Non si può rischiare di raccogliere le firme invano.