Nel partito socialista è ormai guerra aperta. Dopo i catastrofici risultati nelle elezioni in Galizia e Euskadi di domenica, il partito socialista è pronto ad affrontare a carte scoperte la guerra che covava nel suo seno da almeno 9 mesi. Il segretario ha lanciato la bomba atomica ieri dopo quattro ore di riunione con i suoi fedelissimi, la cosiddetta «esecutiva permanente», una versione ridotta del Comitato federale, che invece si celebrerà sabato e dove scorrerà «sangue» a fiotti.

I socialisti domenica hanno ottenuto i peggiori risultati di sempre sia in Galizia, dove sono terzi con il 18% dei voti (perdendo 40 mila voti e 2 punti percentuali), che in Euskadi, dove sono addirittura quarti, con 12% (perdono 90mila voti e ben 7 punti). Ma la notizia peggiore è che in Galizia il Pp è riuscito a mantenere la maggioranza assoluta: ormai è l’unica comunità autonoma dove un unico partito controlla la Camera.
In Euskadi si rafforzano i nazionalisti moderati del Pnv, già al governo (finora con l’appoggio socialista). Podemos e alleati vanno bene ma non sfondano: in Galizia, En marea è seconda in voti (in seggi ne ha quanti i socialisti) e in Euskadi Podemos è terzo, dopo Eh-Bildu, il partito vicino alla sinistra abertzale (ex braccio politico dell’Eta), guidato dall’ex terrorista Arnaldo Otegi.

Ciudadanos non è entrato in nessuno dei due parlamenti autonomi.

Da un lato, quindi, i risultati non cambiano sostanzialmente nessun equilibrio a livello nazionale, fanno gongolare i popolari, ma in compenso fanno saltare in aria i socialisti. I numerosi nemici di Pedro Sánchez (soprattutto le federazioni di Andalusia, Estremadura, Castiglia La Mancia) domenica sera erano già pronti a saltare alla giugulare del segretario e di ogni sua velleità di formare un governo (necessariamente passando per qualche accordo con Podemos).

Ma Sánchez li ha anticipati: per il 23 ottobre – giusto in tempo, prima che l’1 novembre scada il tempo per la convocazione di terze elezioni in mancanza di un governo – vuole convocare le primarie fra i militanti socialisti per la scelta del prossimo segretario del partito, e un congresso a dicembre: cioè in piena campagna elettorale, se si celebrassero le terze elezioni. La mossa ha spiazzato i nemici del segretario, che infatti si sono affrettati a dire di non averne mai chiesto le dimissioni (ma invece «una profonda riflessione politica» di fronte a un «crollo elettorale immenso»).

Mai i socialisti erano stati così espliciti sulla faida interna che li sta dilaniando. «È evidente che ci sono dirigenti che non la pensano come me, che credono che dobbiamo astenerci per fare presidente Rajoy e che non dobbiamo neppure proporci la possibilità di governare con 85 deputati», cioè esattamente la posizione della presidente andalusa Susana Díaz, la principale oppositrice interna. «È necessario che il Psoe torni ad essere un’organizzazione unita e se c’è chi pensa di avere un progetto migliore che si faccia avanti e lo difenda. Se vincono, sarò la prima persona che si congratulerà con loro». Una dichiarazione di guerra in piena regola.

E in effetti Sánchez ha avuto il grande merito della coerenza: pur avendo dato la colpa del fallimento dei negoziati per la formazione del governo, a gennaio, a Podemos – quando nel migliore dei casi era una colpa condivisa – contro vento e marea, ha difeso la posizione mantenuta coi militanti fin dal primo momento: No a Rajoy a qualsiasi costo.

Se perde questa battaglia interna cadrà in piedi, e per i militanti, che l’hanno sempre appoggiato, sarà vittima di manovre di partito. Vedremo se il 23 ottobre, ispirato da Jeremy Corbyn in Inghilterra, Sánchez la spunterà di nuovo contro il polveroso apparato socialista. In ogni caso la decisione definitiva sia sulle primarie, sia sul congresso, la prenderà il Comitato federale sabato prossimo. E i nemici di Sánchez stanno già affilando le armi per ottenerne la testa.

Podemos intanto ha iniziato alcune manovre di attacco ai nemici del segretario socialista. Hanno ufficialmente ritirato l’appoggio esterno ai presidenti socialisti della Castiglia-La Mancia e dell’Estremadura, due fra i nemici più espliciti di Sánchez. Il Pp si è già fatto avanti per sostituire i viola. Vedremo se Podemos farà mancare l’appoggio in altri feudi socialisti anti-Sanchez Ma la guerra è appena cominciata.