Amadou ha 28 anni e viene dal Burkina Faso, da sei anni è in Italia, vive a Villa di Briano, piccolo centro del casertano. Lavora nei campi come stagionale, raccoglie mele, pesche, quello che capita a seconda dei mesi. E vorrebbe andare via: «I primi due anni ho vissuto a Livorno, lì era meglio ma senza permesso di soggiorno non potevo rimanere. Così mi sono spostato».
«Faccio almeno sette ore al giorno – prosegue il bracciante – ma a fine turno arriva il padrone e ti dice “devi fare un’altra ora” e tu non puoi dire di no. Senza pausa, senza bere o mangiare: ti puoi portare qualcosa ma tanto non c’è tempo per sedersi a prendere fiato. Trenta euro a fine giornata te li danno solo se sono contenti di quante cassette hai raccolto».

«Vorrei avere un’occupazione fissa, invece ogni tre mesi mi devo cercare una nuova azienda dove fare la raccolta. Fatico e sto a casa, con altri tre ragazzi che non lavorano con me. Nel poco tempo libero, non c’è nessun posto dove andare e niente da fare. Con gli italiani mi trovo male, la gente non è mai uscita dal suo paese, non ti conosce e non si fida. Se avessi il permesso di soggiorno andrei via, in un posto dove lo straniero è trattato meglio».

Amadou lo abbiamo incontrato alla Stazione marittima di Napoli per il convegno organizzato dalla Flai Cgil, nell’ambito del Premio Jerry Masslo, «Villa Literno, 25 agosto 1989 – Lampedusa, 4 ottobre 2013 Mai Più!». La Flai si mette in strada e va a cercare i lavoratori all’uscita delle aziende agricole, nei quadrivi e nelle rotonde dove i caporali li reclutano a giornata e si fanno pagare persino 5 euro per il trasporto.

Una presenza discreta

«Usiamo il camper ma non sempre – spiega Cinzia Massa della Flai campana – I ragazzi si sentono rassicurati dalla presenza del sindacato ma i caporali possono decidere di lasciarli a terra e così perdono la giornata. Altre volte ci è capitato di essere seguiti da auto con persone minacciose. Bisogna avvicinarsi con cautela. Soprattutto cerchiamo di spiegare quali sono i loro diritti».

Dai guanti per la raccolta dei carciofi (che alla fine si portano da casa) ai contratti: «A molti fanno contratti fasulli, con meno ore e giornate. Questo comporta far perdere al lavoratore il diritto alla disoccupazione. Poi ci sono i casi estremi di padroni che minacciano con la violenza fisica, per le donne si arriva allo stupro. E comunque quasi tutti passano la giornata dispersi in campi senza bagni chimici, mettendo anche a rischio la propria salute».

La paga base prevede, in media, intorno ai 45 euro al giorno, un migrante spesso si ritrova a fine giornata con 20 euro dopo aver lavorato per otto, dodici ore. Se nel salernitano, dopo lo sgombero del ghetto di San Nicola Varco, le condizioni abitative sono migliorate, nel casertano e nel napoletano sono molto difficili: può capitare di pagare 270, 300 euro al mese per un posto calpestabile, cioè un fazzoletto di mattonelle su cui buttare un materasso, che si traduce in dieci persone di una stanza di una villetta con allacci abusivi.

«Ci sono anche progetti pilota – prosegue Massa – grazie ai quali beni confiscati alla camorra sono diventati alloggi per braccianti migranti». Sta aumentando l’impiego di donne, gli indiani negli allevamenti. Le condizioni di lavoro, da nord a sud, vanno progressivamente peggiorando quando si passa dagli italiani ai comunitari, fino agli extracomunitari. Un’azienda che non evade il fisco di solito offre condizioni di lavoro buone. L’evasione invece produce quasi sempre sfruttamento.

Il peso della mafia

Il peso dell’illegalità e dell’infiltrazione mafiosa nel settore, stimato dalla Dda, è di circa 12,5 miliardi di euro. Sono più di 3.600 le organizzazioni criminali di stampo mafioso attive solo nell’Ue, con un danno stimato in 670 miliardi di mancati ricavi. I settori dove incidono di più sono la contraffazione dei prodotti e la gestione della tratta degli esseri umani. Nella classifica dei beni sequestrati in Italia, i terreni agricoli sono circa 24.638, il 93% delle aziende sottratte ai boss poi falliscono.

Secondo la Flai, circa 400 mila lavoratori trovano un impiego tramite i caporali, circa 100 mila presentano forme di grave assoggettamento paraschiavistico. Del resto al caporale veniva al massimo comminata una multa, recentemente è stato introdotto il reato di caporalato(circa 355 arrestati o denunciati, di cui 281 solo nel 2013) ma non sempre si cerca anche il committente. Più del 70% della manodopera sotto caporale presenta malattie non riscontrate prima dell’inserimento nel ciclo del lavoro agricolo stagionale.

«Se non c’è la volontà politica di affrontare il problema del lavoro dei migranti, vuol dire che si è conniventi – spiega la segretaria generale Flai Cgil, Stefania Crogi – Il governo deve eliminare la piaga del sommerso in agricoltura: ci vuole un periodo congruo che consenta ai migranti di trovare lavoro, a chi denuncia azioni di sfruttamento deve essere garantito un permesso di soggiorno temporaneo». E il caporalato? Sarebbe facile eliminarlo: il sindacato ha presentato una proposta di legge per istituire forme di intermediazione pubbliche con sportelli sul territorio dove chi offre lavoro si iscrive e l’azienda possa contattarli. Proposta chiusa in un cassetto dalla politica e scordata lì.