Oltre duecento scosse nell’arco di tre ore possono sembrare un evento eccezionale. Ma non per chi è abituato a monitorare i sismografi ed analizzare le registrazioni nella sala terremoti dell’Ingv. «Ogni evento sismico è diverso dall’altro, per questo è impossibile prevedere. E quindi è impossibile anche stupirsi», spiega al manifesto l’ex direttore del Centro nazionale terremoti, Alessandro Amato, stanco di ripetere ad ogni giornalista i dettagli scientifici della sequenza registrata ieri mattina, spesso travisati e tradotti in allarmi sensazionalistici. Eppure, malgrado l’unicità di ciascun terremoto, «è abbastanza “normale” registrare una serie di scosse in tempi ravvicinati».

Nessun allarme particolare, dunque. O meglio, bisognerebbe stare sempre in allarme in un Paese “ballerino” come l’Italia. E infatti l’Ingv sta completando la nuova mappa della pericolosità sismica che sarà pronta, ha annunciato ieri, «entro giugno». Si tratta di un aggiornamento dell’ultima edizione del 2004, con la riclassificazione del rischio sismico dei comuni italiani e la normativa aggiornata e i dettagli tecnici per l’edilizia antisismica.

Quattro scosse forti, con magnitudo superiore a 5, e oltre duecento di magnitudo inferiore a 2 nel giro di poche ore. È la prima volta che succede?

Basti ricordare le tre scosse nel giro di un minuto – in quel caso venne percepito un unico terremoto ma erano tre faglie a muoversi – che distrussero l’Irpinia nel 1980. O il caso di Colfiorito nel 1997, con due scosse a distanza di nove ore, la seconda, che fece crollare la basilica di Assisi, più forte della prima. O ancora San Giuliano di Puglia nel 2002 con due eventi a distanza di 24 ore. E se ne potrebbero ricordare molti altri. Insomma, non c’è nulla di stupefacente nell’attivazione di più faglie vicine in tempi brevi.

Riguardando la dislocazione degli ultimi terremoti del centro Italia, e dunque l’attivazione delle faglie di quella zona, quello di ieri rientra negli scenari che erano ritenuti possibili ai sismologi?

Certo, è sempre possibile che si attivino le faglie vicine quando c’è un terremoto importante in una zona. Come abbiamo detto, può avvenire nel giro di pochi minuti o giorni. È il caso dell’ultima sequenza: il 24 agosto l’epicentro era nella zona Amatrice e Norcia, il 26 ottobre si è spostato più a nord, verso Visso e le Marche. Poi il 30 ottobre, con la scossa più forte di tutte, è tornato verso sud e si sono riattivate parti consistenti di entrambe le faglie precedenti. Ieri l’epicentro è sceso ancora più a sud, tra Montereale e Capitignano, in una zona altamente sismica dove però negli ultimi mesi non si erano registrate forti scosse. Si tratta di una prosecuzione verso nord del sistema di faglie che si era attivato nel 2009, nel terremoto de L’Aquila.

I quattro mainshock di ieri – che è ragionevole pensare siano dovuti alle dislocazioni sulla stessa faglia che si è attivata in segmenti e in tempi successivi, con una migrazione della sismicità da nord-ovest a sud-est – interessano un’area di circa 10-15 km lungo la dorsale appenninica, larga circa 5-6 km, che va dalla parte meridionale della zona investita dal sisma del 24 agosto scorso a quella interessata dal terremoto del 2009 .

In sostanza, le faglie non sempre si attivano sui bordi esterni del volume interessato da un determinato terremoto, ma – come dire – vanno e vengono anche all’interno dello stesso territorio. E il centro Italia sembra particolarmente mobile ormai da tempo. Dobbiamo attenderci questo andamento ancora per anni?

Se analizziamo la storia sismica di nostra conoscenza, dal terremoto della Marsica del 1915 in poi, le sequenze si sono sempre ripetute, per periodi più o meno lunghi. È frequente vedere alternarsi, non solo in Italia, periodi di maggiore attività ad altri – magari lunghi anche decenni – di bassa sismicità. Purtroppo dobbiamo ripetere che è impossibile al momento prevedere l’andamento sismico, possiamo soltanto prendere atto dell’alta pericolosità della fascia appenninica. E agire di conseguenza.