Nel commentare il fallimentare bilancio dell’attuazione delle grandi opere previste dalla Legge Obiettivo presentato dalla camera dei deputati (in 14 anni di vigenza è stato completato soltanto l’8% delle opere previste), Il Sole 24Ore denunciava la «burocrazia asfissiante». Ieri è dovuta intervenire di nuovo la magistratura per raccontarci la verità.

Ercole Incalza non è un “asfissiante burocrate” ma un uomo potente che da oltre venti anni è al centro del sistema che ha preteso e ottenuto da governi di ogni colore di cancellare regole e controlli, fino a demonizzare la pubblica amministrazione. Incalza ha partecipato alla realizzazione della Tav che ha sperperato oltre 50 miliardi per collegare le grandi città e lasciato senza risorse le tratte utilizzate quotidianamente dai pendolari. Uscito indenne da Tangentopoli, è stato capo delle struttura per le Grandi opere del ministero delle Infrastrutture collaborando con tutti i ministri successivamente inquisiti, da Lunardi a Matteoli. Dopo il pensionamento è diventato consulente degli ultimi governi ed era particolarmente considerato dal ministro Maurizio Lupi.
Sostenere che il fallimento della Legge Obiettivo sia dovuto alla burocrazia è insieme un falso e una tesi poco decorosa per la classe dirigente del paese. Colpo dopo colpo, dalla Legge Obiettivo di Berlusconi allo Sblocca Italia di Renzi, le procedure di affidamento e realizzazione delle grandi opere sono state concentrate nelle mani di pochi dirigenti fidati – tra cui Incalza – e tutti i controlli di merito, dall’ambiente ai beni culturali, sono stati cancellati. Dopo decenni di deregulation lo Stato è scomparso, sostituito da una consorteria corrotta fatta di consorzi, cartelli di imprese, società di consulenza e progettazione che beneficiano di leggi ad hoc.

Tutte le recenti inchieste della Magistratura, dall’attraversamento Tav di Firenze al Mose di Venezia, dalla metro C di Roma all’Expo di Milano, hanno messo infatti in evidenza l’esistenza di pochi gruppi dediti ad appropriarsi dei finanziamenti pubblici, gonfiarli e redistribuirli ai decisori politici. E vogliono continuare in questa opera di rapina: come per la Civitavecchia-Livorno che ha come capo del consorzio Antonio Bargone (Pd), o la Orte-Mestre che ha capo Vito Bonsignore (Ncd). Opere tanto gigantesche quanto inutili per rilanciare il paese, ma capaci di garantire il controllo di miliardi di euro di risorse pubbliche.

Il problema principale non è dunque quello di attenuare ancora regole e controlli, e cioè di aumentare le dosi della cura che ha portato al fallimento. E’ urgente ricostruire profilo e autorevolezza della pubblica amministrazione ripristinando la legalità. Ma di questo non c’è traccia nell’agenda del governo. Quattro giorni fa il premier ha visitato il cantiere Expo di Milano per concludere con soddisfazione che bisognava «far vedere al mondo di cos’è capace l’Italia. Expo non è un luogo di scandalo, ma la sfida per l’Italia nel 2015».

Non fossero bastati gli scandali che hanno fin qui caratterizzato l’Expo – compresa l’infiltrazione di imprese mafiose – nella vicenda Incalza c’entra anche la costruzione del Padiglione Italia. La retorica a buon mercato di Renzi è spazzata via dalla realtà di un paese devastato dalla corruzione perché ha scelto di abolire la legalità.
La cancellazione delle regole ha fatto trionfare un gigantesco sistema di malaffare e un paese in crisi non può permettersi di pagare ancora i ladri che hanno vuotato le casse dello Stato. Sarebbe perciò urgente ricostruire regole chiare e limitarsi a poche fondamentali opere di interesse strategico. L’esatto contrario dello Sblocca Italia di Renzi e Lupi che non tocca le circa 500 (cinquecento) grandi opere fin quì previste e continua nell’opera di cancellazione dei controlli pubblici.