Quattro anni e nove mesi «in nome del popolo italiano». Inflitti a monsignor Mauro Inzoli, 66 anni, carismatica figura di Comunione e liberazione a Crema e in Lombardia: ex presidente del Banco Alimentare, rettore del liceo linguistico Shakespare, parroco della chiesa di Santa Trinità, soprannominato «don Mercedes» a causa della passione per le auto di lusso, sostenitore da sempre del “celeste” Formigoni. La condanna risale al 29 giugno scorso per violenze, abusi e molestie sessuali nei confronti di ragazzi fra i 12 e i 16 anni.

Le venti pagine della sentenza, redatta dal gup del Tribunale di Cremona Letizia Platè, ora inchiodano il religioso alle sue responsabilità. Soprattutto perché negli episodi avvenuti fra il 2004 e il 2008 (risarciti con 25 mila euro a testa alle cinque vittime, costituitesi parte civile) Inzoli approfittava «con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani anche nel corso del sacramento della confessione». Un comportamento che durava «fin dalla metà degli anni ’90 con una pluralità indiscriminata di soggetti, all’epoca minorenni»: solo la prescrizione ha impedito che l’intero elenco entrasse nell’inchiesta.

L’esito giudiziario, anche se la difesa ha già richiesto l’appello a Brescia, si deve esclusivamente all’esposto presentato il 28 giugno 2014 da Franco Bordo, deputato di SI-Sel. «Le motivazioni dimostrano una volta per tutte il quadro inquietante non solo per l’inaudita gravità dei fatti, ma soprattutto per l’estensione del fenomeno e il numero delle vittime, comprese le tante che non sono citate nella sentenza», commenta.

E Bordo sottolinea con forza altri due aspetti sintomatici dell’intera vicenda: «Fatti accertati che si sono consumati nello studio parrocchiale, nelle vacanze a Falcade e Rimini, nel liceo privato di cui Inzoli era rettore, nell’albergo di Grosseto e almeno in una delle “case famiglia” per minori in difficoltà che a lui facevano capo. D’altro canto, balza agli occhi il clima di omertà intollerabile che regnava a Crema. Inzoli deteneva una capacità d’influenza e rapporti di potere: nel 2004 la “segnalazione” da parte delle vittime all’allora vescovo Angelo Paravisi, citata anche nella sentenza, non produce alcuna conseguenza…».

Il “caso Inzoli” rappresenta un’indelebile piaga e una vergogna perenne per i ciellini che si dividono fra la fraternità religiosa retta da Julián Carrón, il braccio economico della Compagnia delle Opere, il Meeting di Rimini e la sussidiarietà declinata soprattutto negli Atenei, nella sanità e nei media.

Nelle venti pagine della sentenza, si cita l’ambiente di Gioventù Studentesca e si ricostruisce quanto accadde in altri luoghi-simbolo di CL a Crema. Inzoli era «una specie di idolo meritevole di venerazione» per ragazzini violati con «il battesimo dei testicoli» o, peggio, citando Abramo e Isacco a giustificazione delle violenze sessuali.
Ma incontrovertibile è il decreto della Congregazione per la dottrina della fede, reso pubblico il 26 giugno 2014 dal vescovo Oscar Cantoni in una lettera ai fedeli: «Recepisce quanto Papa Francesco, accogliendo il ricorso di don Mauro, ha stabilito. In considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori, don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza».

Gli è inoltre «prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza comporterà la dimissione dallo stato clericale». Ma non basta, perché Inzoli «non potrà dimorare nella Diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale» e per di più «dovrà intraprendere, per almeno 5 anni, un’adeguata psicoterapia».

Ma ad agosto Inzoli si presenta, come sempre, al Meeting ciellino di Rimini. E a gennaio 2015 si accomoda al Pirellone di Milano in seconda fila – giusto alle spalle di Maroni, Formigoni, Cattaneo e Cristina Cappellini – al convegno omofobo “griffato Expo” ad applaudire Luigi Amicone, direttore del settimanale ciellino Tempi, e Mario Adinolfi all’epoca pronto a lanciare il quotidiano La Croce.

E una volta aperta l’inchiesta “italiana”, il Vaticano aveva opposto il “sub secreto pontificio” alla richiesta della magistratura di Cremona di ottenere la documentazione sulle violenze sessuali. Non è bastato a evitare la condanna a Inzoli, con la pubblicazione della sentenza che imbarazza non soltanto i ciellini.