La notizia dell’operazione di polizia «Mondo di mezzo» non era ancora arrivata, nella tenuta agricola romana di Capodarco, poco distante dall’ormai nota Tor Sapienza, dove si discuteva ieri mattina con il vice ministro del Mipaaf Andrea Oliviero di agricoltura sociale, uno dei tasselli più promettenti della rete di servizi sociali per il territorio. Rete che andrebbe rimessa in moto dopo lo smantellamento sistematico degli ultimi anni, con le conseguenze che abbiamo visto nelle periferie romane. In sala, alcuni esponenti del Social pride – che fa parte del cartello di associazioni promotore della fiaccolata di domani per «Roma città aperta, sicura e inclusiva» – a margine dell’iniziativa, discutono anche del sistema spartitorio che da anni prosciuga le buone risorse capitoline. Nessuno avrebbe mai immaginato che di lì a poco, quell’analisi politica e sociale del nuovo «sacco di Roma» avvalorata da dati, studi e tabelle, avrebbe trovato ulteriore conferma (sia pure ancora a livello di ipotesi accusatoria) nell’elenco di nomi, diffusi dalla procura, di persone coinvolte nell’inchiesta.

«Al di là delle responsabilità personali che andranno accertate, questi arresti dimostrano quello che da anni denunciamo, un sistema spartitorio di appalti pubblici e di servizi sociali», commenta Carlo De Angelis, che fino a un mese fa era responsabile della Cnca del Lazio, e aderisce al Roma Social Pride. Dati alla mano, elaborati dal Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza: «Dal 2009 Alemanno cominciò a smantellare tutti i servizi del territorio – prosegue De Angelis -. Cominciò con i progetti di mediazione sociale nei territori più degradati, soprattutto San Basilio, Ponte di Nona, Quartaccio… Tutti chiusi. Ridusse gli interventi a favore dell’infanzia e del protagonismo giovanile, annullò molti progetti per l’inclusione socio-lavorativa delle fasce svantaggiate, soprattutto tossicodipendenti e immigrati. Nel 2012 chiude i servizi a bassa soglia per le dipendenze, con l’agenzia Act diretta da Massimo Canu».

L’elenco dei progetti abbandonati è lungo: la Cooperativa Parsec, Il Cammino, l’associazione La Tenda o Magliana 80, che da anni lavoravano con grande efficacia sulla tossicodipendenza e l’alcolismo hanno dovuto chiudere i centri residenziali di reinserimento, quelli notturni e spesso anche i centri diurni, e hanno potuto proseguire la loro azione sul territorio solo grazie ai finanziamenti dalla Regione. Soldi del comune che sono stati dirottati evidentemente su altri enti, più vicini al potere dominante.

«Dove sono andati a finire ora quegli utenti? Spesso si sono trasformati in barboni, vagano per Roma e gravano sul sistema di servizi offerti dalla Caritas o dalla Comunità Sant’Egidio». Non solo: «Progetti di mediazione sociale a Piazza Vittorio, al Pigneto, a Ponte di Nona, al Trullo, a Prima Porta, a Saxa Rubra, Palmiro Togliatti, nelle zone più difficili della città, che costavano 70 mila euro l’anno e occupavano quattro operatori, sono stati chiusi nel 2008», racconta ancora l’esponente della Cnca. Da allora in poi 51 progetti sono stati cancellati, l’ultimo nel giugno 2014. «Coinvolgevano migliaia di utenti, davano lavoro a 335 persone. Risparmio: 7.315.405,31 euro», tira le somme De Angelis.

E conclude: «Alemanno ha distrutto anche un percorso di anni con le popolazioni rom e sinti nei campi più storici, quello di via Cesre Lombroso, di Salone, Cordiani, ecc. E oggi ci si chiede perché le periferie scoppiano».

La questione dei rom appare particolarmente emblematica, sotto i riflettori dell’inchiesta sugli intrecci politico-criminali che coinvolge quasi 100 persone nella Capitale: «Mentre, da domenica, sono in sciopero della fame per chiedere la chiusura del centro accoglienza per soli Rom più illegale e costoso che conosciamo, il Best House Rom di via Visso, – dichiara il presidente di Radicali italiani e consigliere capitolino, Riccardo Magi – apprendiamo che è stata posta agli arresti domiciliari anche la responsabile dell’Ufficio Rom, Sinti e Caminanti del Dipartimento V, e gli uffici perquisiti con sequestro di molti documenti tra quali quelli relativi a via Visso, che avevamo reso noti nei mesi scorsi. Non siamo sorpresi. Da tempo come Radicali denunciamo quell’industria della solidarietà, alimentata da affari e interessi che ruotano intorno alla gestione dei centri per immigrati e campi rom.

Non è vero che mancano i fondi per governare l’accoglienza di rifugiati e rom, per rilanciare la mobilità e per offrire servizi con standard minimi di decenza. Le risorse ci sono, ma vengono sperperate da un apparato deficitario e fallimentare, gestito con logiche che vanno perfino oltre quelle della partitocrazia».

Una cosa è certa: da questa storia non ne esce bene neppure tutto il cosiddetto privato sociale. «Ma il Terzo settore – ribatte De Angelis – è un movimento, non è un partito. E purtroppo contiene un po’ di tutto: come dice Giovanni Moro, presidente della Fondazione Cittadinanza attiva, ci sono fondazioni private, bancarie, associazioni finte, e ci sono pure cooperative che sfruttano e si inseriscono nel sistema corrotto».