“L’Eurozona è impantanata da nove anni, e in particolare lo è l’Italia. Ma si continua con le politiche sul lato dell’offerta mentre servono investimenti. Serve alimentare la domanda pubblica, perché quella privata non riparte”. Le parole di Stefano Fassina sintetizzano le ragioni della proposta di un “social compact”, una ipotesi di politica economica alternativa a quella del governo, presentata da Sinistra italiana a Montecitorio.
La contromanovra prevede un intervento triennale da 30 miliardi complessivi per il lavoro, l’istruzione, i diritti sociali e il contrasto alle diseguaglianze. In dettaglio c’è l’adozione di un piano “Green new deal” di 12 miliardi, basato su investimenti pubblici (il 45% nel Mezzogiorno) per la messa in sicurezza del territorio; il miglioramento delle periferie urbane; le bonifiche anti-inquinamento, e altri interventi ambientali e sociali.
A queste misure vanno aggiunti un programma di 2 miliardi per il potenziamento dei treni locali, e 3 miliardi destinati al reddito minimo. Fra le altre proposte, la stabilizzazione dei precari della scuola, l’aumento delle risorse per la sanità, l’aumento a 600 euro delle pensioni minime, la revisione della legge Fornero con la pensione possibile a 65 anni e 35 di contributi, e gli sconti fiscali per i lavoratori a partita Iva.
Per finanziare il “social compact”, osservano Fassina e i due capigruppo Loredana De Petris e Arturo Scotto, basterebbe il contrasto all’evasione fiscale, la reintroduzione della Tasi per il 10% delle case (le più lussuose), lo stop al taglio dell’Ires che da solo vale 12 miliardi, il taglio delle spese militari, la web tax, e uno sforamento dell’1% del deficit programmato. “Sforiamo il 3% ma sarebbe circoscritto e temporaneo – osserva Fassina – e porterebbe a un aumento del Pil nel triennio. Mentre la manovra del governo è inadeguata: ha un impianto basato sulla svalutazione del lavoro e sulla concessione di qualche bonus elettoralistico, come gli interventi sulle pensioni minime”.
Tira le somme Scotto: “Noi diremo No al referendum costituzionale. Ma noi siamo soprattutto quelli che vogliono una svolta. Il Def è solo un volantino di propaganda”. Chiude De Petris: “Dopo che le cifre diffuse dal governo sono state rifiutate da Bankitalia, Istat, Corte dei Conti e dall’Ufficio parlamentare di bilancio, occorrerebbe fare una valutazione di quanto questa operazione di pura propaganda sta costando al paese”.