La cronaca «rosa» dell’Expo ha più volte messo l’accento sulla vicinanza tra i padiglioni dell’Iran e degli Stati uniti. E anche la retorica si è sprecata, largheggiando nell’uso di frasi tipo «L’Esposizione è luogo dove il mondo non conosce divisioni», tanto per citare.

In un’intervista rilasciata all’Ansa, Hossein Esfahbodi, Commissario generale per la partecipazione dell’Iran all’Expo, aveva risposto con un sorriso alla scontata domanda sull’anomalo vicinato, aggiungendo che l’Iran in mostra può contare anche su altri vicini, dal Cile all’Italia. «Una buona posizione» l’aveva definita, con il pensiero più vicino all’afflusso di pubblico che alla politica internazionale. Chi varcherà la soglia espositiva iraniana, troverà ad accoglierlo una struttura che nella sua modernità ricorda una tenda, con la «pelle» interna ispirata ai ricami del sofreh, il tappeto su cui vengono disposte le portate di un pranzo importante o del banchetto nuziale.

Il sofreh dell’Expo viene steso così «Il popolo iraniano coltiva la convinzione che l’essenza del mondo sia basata sulla saggezza, per questo l’approccio al Tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita sarà applicare la saggezza per trovare soluzioni ragionate a tale sfida globale. Un altro profondo credo del popolo iraniano è che l’umanità sia invitata alla festa divina sulla Terra, un’immagine, questa, dalla quale deriva un’attitudine al consumo di cibo fondata su quattro assiomi: equità, carità, appagamento e gratitudine.

Tradizione, sostenibilità, apertura verso la diversità, sviluppati dall’Iran grazie alla sua posizione strategica di ponte tra Oriente e Occidente, sono i tre temi guida del concept del Padiglione». Vediamo i riscontri delle parole nei fatti. L’inflazione, dati della Banca Centrale, è pari al 35%, il PIL pro capite ammonta a 7207 dollari; la composizione settoriale del PIL attribuisce ai servizi il 48,9% e solo il 16,8% all’agricoltura. Il 53% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Nel 1956 il 69% degli abitanti era concentrato nelle aree rurali.

Oggi il 71,5% è inurbato. Interi villaggi agricoli sono stati abbandonati. Non sono disponibili dati sul reddito mensile di contadini e braccianti della terra. Sappiamo invece che 75mila iraniani (su una popolazione di 77 milioni) sono possessori di ricchezze incalcolabili. Secondo il rapporto 2014 dell’ITA (Italian Trade Agency), nell’autunno 2013 il tasso di disoccupazione totale ammontava al 10,3%, mentre quello giovanile, in un Paese dove il 45% degli abitanti ha meno di 25 anni, era pari al 24,3%. L’Iranian Country Report 2014 definisce caratteristiche peculiari dell’economia iraniana il pesante dominio dello stato, principale destinatario dei proventi dall’export di gas e greggio, padrone delle banche e delle grandi imprese pubbliche e semi pubbliche; la mancanza di autonomia della Banca Centrale, che stabilisce il tasso bancario secondo i dettami governativi; la corruzione dilagante, ostacolo alla protezione della proprietà privata in cause legali.

Quanto all’apertura verso la diversità, l’ITA afferma che, a dispetto dell’uguaglianza tra cittadini sancita dalla Costituzione «… gli appartenenti alle minoranze restano discriminati nell’accesso ai pubblici impieghi». In tema di saggezza, a dicembre 2014 il presidente Hassan Rohani ha aumentato del 32,5% i fondi per le spese militari. Sulla guerra l’Iran investe adesso otto miliardi e 235 milioni di dollari, il 3% circa del PIL. La trama del safreh è piena di nodi difficili da sciogliere. Ammesso che l’Iran intenda farlo.

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