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La storia è quella semplice e intricata di un giornalista, di un direttore temuto, di un vecchio sessantottino, di un romano trasferitosi felicemente a Milano, di un amante inquieto e di un maschio ingenuo. Un cursus honorum quasi tipico, la rappresentazione della banalità di un quieto vivere di successo, eppure qualcosa cambia e trasforma la banalità in una nuova normalità: una malattia degenerativa che colpisce il protagonista costringendolo, ma anche liberandolo. Ultimo volo della sera (Feltrinelli, pp. 382, euro 20), il romanzo postumo di Claudio Rinaldi, si apre che la malattia è già cosa acquisita, cosa quasi naturale.
Un rumore bianco di sottofondo che spaventa e allarma, ma che in fondo è da considerarsi già cosa fatta, perché il cuore del racconto sta oltre, ossia nello stupore incantevole di un’ignota e seducente intraprendenza che arriva inaspettata a portata di mano del protagonista. Inseguita per tutta la vita ecco ora la possibilità di condurre un’avventura con la giusta leggerezza. Finalmente è possibile andare fino in fondo ai propri desideri e inseguire le emozioni anche più rischiose e magari anche quelle più stupide.

Claudio Rinaldi uno dei giornalisti usciti da quella straordinaria scuola d’azione che fu Lotta Continua, unico capace di divenire direttore dei tre più importanti settimanali italiani: Panorama, Europeo e L’Espresso, colpito a quarant’anni da sclerosi multipla, racconta in questo romanzo a tratti autobiografico una storia politica e intima e lo fa con la spudoratezza inquieta di chi sa raccontare quella dura lotta (per chi è pronto ad ingaggiarla) che confonde l’intimo dal privato e distingue il coraggio dall’esibizionismo.

Protagonisti con Fabio (una sorta di alter ego dell’autore) le donne e Milano in un continuo scambio di seduzioni e affronti, fughe e ritorni. La memoria connette e disegna, spiega e traduce il tempo passato. Non più un peso nostalgico, ma il percorso diretto ad un presente in cui ancora tutto è possibile: un tempo dato è un tempo occupato. Milano è quella del pupazzetto Berlusconi che si prende l’Italia, ma anche quella del bar Magenta diviso tra il fumo della politica e quello del poker. Non ci sono grandi speranze per il futuro, ma nemmeno nulla di perso.

Due donne, una conosciuta da poco e un’altra da quasi tutta la vita. Due presenze che non si contendono il medesimo spazio, ma uniscono e identificano un uomo costretto ad un presente assoluto: l’una non esclude l’altra, ma l’una senza l’altra non sarebbe possibile per quanto doloroso e per quanto questo possa apparire ed essere sbagliato, rotto e ingiusto. «Sono felice. Sono sgomento» scrive Claudio Rinaldi. Ultimo volo della sera trasforma il rischio in una forma di preparazione al nulla come all’improvviso. Non c’è spazio per la morte, ma solo per il desiderio ancora tutto da essere soddisfatto nel sue nuove forme fatte di inedite percezioni e sorprendenti possibilità.

Ultimo volo della sera portato alla luce a otto anni dalla morte di Claudio Rinaldi per merito della compagna Loredana Schiaffini racconta di un’epoca oggi scomparsa (almeno in Italia) in cui il giornalismo aveva un potere di confronto con il potere politico. Un confronto spesso fatto di sagacia e di stima, ma anche di aspra riprovazione. Un libro a tratti doloroso e a tratti ironico che offre tra le sue pieghe il senso di una calma, il bisogno urgente di un’irrisolta tranquillità.