Gli spagnoli hanno votato il cambiamento, come si aspettavano tutti gli osservatori. Alcune volte più moderato, altre più deciso, ma pur sempre un cambiamento importante. L’affluenza al voto è stata del 65%, un punto in meno che nel 2011.

Ma in alcuni comuni importanti, come Barcellona, è passata da meno del 50% a quasi il 61%.

La mappa politica del paese non è più la stessa: le due forze principali, Pp e Psoe, raccolgono poco più del 50% dei voti. Un arretramento molto pesante.

In termini relativi, il Pp si mantiene la prima forza in 9 delle 11 comunità autonome in cui aveva la maggioranza assoluta. Ma nella maggior parte di esse non potrà più governare, neppure alleandosi con il partito ideologicamente più vicino: Ciudadanos.

Anche nelle roccaforti Madrid e Valencia il Pp rimane il primo partito ma in entrambi i casi se i socialisti riescono ad allearsi con Podemos e/o altri partiti di sinistra (come Compromís a Valencia) il Pp perderà il governo.

In quasi tutte le comunità si profilano governi di coalizione in funzione anti-Pp. Anche il braccio destro di Rajoy, la presidente della Castiglia-La Mancia ha perso la maggioranza assoluta (nonostante la riforma elettorale che distorce la rappresentanza e che aveva promosso per garantirsi la rielezione) e neanche lei potrà recuperare la presidenza neanche scendendo a patti con Ciudadanos.

A livello nazionale, formalmente, il primo partito rimane il Pp con 5,8 milioni di voti (ma nel 2011 ne aveva 8 e mezzo) e il Psoe il secondo con 5,4 milioni (nel 2011 erano più di sei). Terzo partito Ciudadanos con 1,4 milioni di voti.

Ma questi dati vengono calcolati sui dati municipali, dove Podemos non si presentava con il proprio simbolo, e Izquierda Unida in molti comuni si presentava in coalizione.

Detto questo, Iu in tutti i casi in cui ha deciso di correre sola (al contrario della posizione difesa da Alberto Garzón, futuro candidato alla presidenza del governo), ha perso la maggior parte dei suoi rappresentanti, e in alcune comunità autonome non ha più neppure un deputato (come nella comunità di Madrid o in Extremadura dove il partito aveva permesso che governasse il Pp). In totale ottiene un milione di voti, contro il milione e mezzo di 4 anni fa. Scompare l’ex quarto partito nazionale, UpyD, guidato da Rosa Díez (che ha già annunciato le dimissioni).

Nei comuni grande successo delle «coalizioni di unità popolare» promosse da Podemos. Nelle due sfide-simbolo si affermano le outsider.

A Barcellona prevale la ex portavoce della Piattaforma vittime del mutuo, Ada Colau, la cui lista ha un consigliere in più del centrodestra di Convèrgencia i Unió del primo cittadino uscente Xavier Trias (11 contro 10 – ma la maggioranza in consiglio comunale è di 21 seggi).

Nella capitale, Ahora Madrid di Manuela Carmena dispone di un consigliere in meno della lady di ferro popolare Esperanza Aguirre (21 contro 20, maggioranza 29), ma potrebbe diventare sindaca di Madrid con l’appoggio del Psoe (9 seggi).

Per il sistema elettorale spagnolo, a meno di una coalizione contraria, il sindaco spetta alla lista più votata anche se non ha la maggioranza. Altre sfide importanti: a Siviglia tornano a governare i socialisti e a Valencia, anche se il Pp mantiene la maggioranza relativa, una probabile coalizione di sinistra a tre sottrarrà il potere alla storica sindaca popolare Rita Barberà.

iglesias madrid podemos reuters