Ma davvero qualcuno credeva che una rivoluzione come la nostra, la più stravolgente ed estesa di tutta la storia, potesse procedere senza che scorresse il sangue? Le donne sono vittime del terribile colpo di coda sferrato da un maschio che sente di aver perduto autorità, e però conserva ancora il potere.

E inevitabilmente a essere colpite sono quelle in prima linea sul fronte dello scontro, quelle che hanno avuto il coraggio di “praticare l’obiettivo” sperando che una liberazione individuale le avrebbe poste in salvo prima della vittoria generale.

Lo dico perché sento molte pur sacrosante denunce dell’escalation femminicida viziate da un vittimismo che sembra collocare quanto di orribile accade nel solco della tradizione: oggi come ieri ci ammazzano.

È vero, continuano a ammazzarci, ma la relazione con i nostri carnefici non è più la stessa: in crisi di identità, privati dello scettro, confusi su ruolo e mascolinità – e perciò debolissimi e spaventati – sono loro, non più noi.

Non è una buona ragione per stare tranquille. Ma è importante esser consapevoli che stiamo avanzando in una guerra asprissima. Come ogni sovvertimento vero. Consapevoli che, per vincerla, non basta aver conquistato qualche parità nelle professioni così come in campo sessuale (purtroppo lo pensano molte ragazze). Questa è “l’emancipazione”, concetto che da parecchi decenni il nuovo femminismo ha relegato al medio evo.

Va cambiata tutta la società per imprimerle, nel simbolico e nei fatti, il segno dei nostri bisogni e dei nostri tempi di vita, sì da riorganizzarla tenendo conto che non esistono esseri neutri, ma maschi e femmine, esseri umani appartenenti a generi fra loro diversi, di cui occorre che il sistema rifletta l’identità.