Un’estate a Pantelleria, una costruzione lenta di ricordi per Tina, la giovane donna al centro del delicato e inquieto romanzo di Alessio Torino, intitolato con il nome della sua protagonista e pubblicato per minimum fax (pp. 141, euro 14). Un’estate segnata dalla lontananza del padre e dal rapporto sempre più conflittuale tra Tina e la sorella come con la madre.
Alessio Torino costruisce una narrazione piana in cui filtra la luce dell’isola siciliana, illuminando a tratti i piccoli tagli sentimentali, scaldandoli o esponendoli quasi pubblicamente in una nevrosi che da cauta si fa sempre più irrequieta quando anche scandalosa.

Una nevrosi che attraversa Tina, ma anche Bea la sorella in cerca di nuova vita o meglio di avventura. Sì, perché con il suo stile apparentemente dimesso, la scrittura di Alessio Torino porta il lettore dentro un’affascinante e per certi versi tragica (seppure formativa) avventura nel vero senso della parola.
Una storia salgariana dunque quella di Tina in cui i personaggi si rivelano in una continua alternanza tra realtà ed eroismo, tra epica dei gesti e disperazione semplice di una quotidianità assurda e opprimente.
La fuga è la stessa avventura che scansa la nevrosi, così anche il rischio come la verità che Tina insegue sia in apertura di romanzo, con la caccia alle meduse, sia nella cura per le conseguenti cicatrici da loro procurate.

Storia aspra e tutta al femminile in cui l’autore si muove con un’agilità data da una attenzione affettuosa per i suoi personaggi. I personaggi maschili sono invece equivoci, spesso confusi. Vacui elementi di disturbo che galleggiano lungo le pagine incapaci di dare smalto e forza agli eventi, anzi spesso trascinando Tina, Bea e sua madre in direzioni non volute eppure prevedibili , all’interno delle quali la salvezza non è data da un loro gesto, ma più che altro da una repentina assenza del maschio. Se dunque Tina rappresenta l’avventura, qui il mondo maschile rivela tutta l’inutile precarietà di un rischio indesiderato, di un gioco privo di senso e soprattutto di piacere.

Il dolore è quello della Medusa, quello degli amanti confusi o dei padri lontani è invece il dispiacere di un’illusione a cui si era creduto, di una convinzione dettata più da un’educazione che ora sull’isola prende nuove forme forgiata da un pericolo reale, da una sfida che non riguarda la dismissione continua della propria essenza, ma l’attiva partecipazione sentimentale di una giovane donna al mondo.
Dentro questa sarabanda Tina diviene l’approdo per la madre come per la sorella in uno scambio reciproco in cui il piacere vive finalmente della realtà e non di una presunta verità, assoluta e invivibile.
Alessio Torino convince con una storia minimale eppure avventurosa che ricorda già in apertura il Calvino di Pesci grossi, pesci piccoli soprattutto per il tono di una lingua che non si posa sulla storia, ma le dona forma e senso come raramente oggi avviene in una letteratura italiana schiacciata da modelli utili solo per qualche imitatore alla moda.