«Stiamo preparando il cinquantanovesimo convegno dell’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, che inaugureremo il 29 settembre presso la Facoltà di Lettere dell’Università La Sapienza», dice il professor Gino De Vecchis, ordinario dell’ateneo romano e presidente dell’Aiig. «Si parlerà di disuguaglianze geografiche, migrazioni, ingiustizie sociali, ambiente: le stesse tematiche trattate dall’enciclica Laudato si’». Ma dimenticate dallo Stato, perché già a scuola gli spazi di discussione sono ridotti allo stremo.

«Gli abilitati nella nostra classe di concorso (A21) dispongono di tre ore al biennio degli istituti tecnici a indirizzo economico», spiega ancora il docente. «Al triennio, invece, sopravvivono due ore solo nel settore turistico. Abbiamo chiesto almeno che le tre ore del biennio siano spostate negli ultimi tre anni, in modo da trovare alunni più maturi e da non ripetere il programma delle medie».
Con Mariastella Gelmini, nel resto degli istituti tecnici e professionali, la geografia era completamente scomparsa. È stata la ministra Carrozza, in seguito, a reintrodurre un’ora nel biennio, senza nulla togliere alle altre materie. Un’ora, come religione. E insegnanti che dovrebbero coprire 18 classi per completare una cattedra.

Nei licei la situazione pretesa dall’ultimo governo Berlusconi è addirittura peggiore. Gli studi umanistici devono esser parsi poco utili, così il comparto lettere ha subito una generale spending review. Le classiche quattro ore, equamente ripartite, sono state sostituite da tre ore indistinte di storia e geografia, accorpate da un voto unico.
I libri di testo si intitolano ormai Geo Storia, disciplina assente nelle indicazioni nazionali. E la maggior parte degli insegnanti, che per la loro formazione mostrano tradizionalmente un maggiore interesse per la storia, finisce per trascurare la geografia, avviata allo stesso triste destino della vecchia educazione civica. «Ci troviamo pertanto al cospetto di un serpente che si morde la coda», ammonisce de Vecchis. «Se non ci si forma più in geografia, come si potrà poi diventare dei formatori?».

Il ministero continua a oscillare tra indecisione e confusione. In vista del concorsone sono state stilate le nuove classi di concorso: in teoria la geografia ci guadagnerà, perché ora può essere insegnata anche da un non geografo, per esempio un docente di scienze della Terra. Tuttavia una tempestiva proroga, per il momento al prossimo anno, è subito arrivata da un decreto direttoriale.

Eppure, in un mondo globalizzato, le conoscenze geografiche dovrebbero essere fondanti per il cittadino. Spetta alla geografia tenere le fila delle basi antropiche e sociali di un planisfero che rischia di contrarsi, sotto la scure dei nuovi muri. Quando lo capiremo?
«Inconsciamente una consapevolezza si è fatta strada», risponde De Vecchis. «I temi proposti all’esame di maturità sono spesso di carattere geografico: quest’anno il valore del paesaggio e il concetto di frontiera, l’anno scorso il Mediterraneo. Sono, in effetti, questi gli argomenti di discussione più urgenti. Ma è anche ovvio che pochi alunni scelgano di trattarli, vista la mancanza di una preparazione adeguata».
Di strafalcioni ne vediamo tanti: il padiglione della Toscana all’Expo milanese con la carta dell’Emilia-Romagna; gli immaginifici tunnel di neutrini tra Ginevra e il Gran Sasso; i maccheronici Fertility Day, che spacciano inumane osservazioni tratte da presunte demografiche della salute pubblica. Sono queste barzellette, anche se feroci. «Però fare geografia significa ragionare – conclude De Vecchis – E qui la situazione, da macchiettistica, diventa tragica. Parliamo a vanvera di migrazioni; azzardiamo analisi sul terremoto senza conoscerlo poi sul serio, quel territorio».