Le differenze non si possono semplicemente cancellare. Con il rischio di essere accusati di antiamericanismo, occorre andare al cuore dello scontro sul Ttip per capire l’enorme portata, politica e sociale, del negoziato in corso tra Europa e Usa.

Sgombriamo il campo dalle ipocrisie: non si può che essere a favore di relazioni più forti tra le due sponde dell’Oceano Atlantico, con la riduzione di barriere doganali e dazi per le merci. La verità è che però non sono questi i temi al centro della discussione. Lo dimostrano le carte del negoziato che hanno superato i protocolli di sicurezza che confermano come vi siano terreni di scontro molto concreti che riguardano alimentazione, agricoltura, standard ambientali, diritti dei consumatori. D’altronde nel momento in cui con l’accordo si vogliono rendere omogenee le regole in queste materie, è inevitabile che si apra un confronto delicatissimo. Per l’ovvia ragione che le norme sono molto diverse tra i due continenti. A partire dal principio di precauzione, che vale solo in Europa, e che fino ad oggi ha rappresentato un argine alle esportazioni di carne di bovini a cui sono stati somministrati ormoni o di polli trattati con il cloro. Ma a questo punto alcune domande sorgono spontanee di fronte a una prospettiva di questo tipo.

Quale dovrebbe essere l’interesse dei consumatori europei o degli agricoltori, in particolare quelli piccoli, a una modifica delle regole vigenti che aprirebbe il mercato europeo a questi prodotti?

Perché mai dovremmo mettere a rischio la sicurezza del cibo che mangiamo o perdere la denominazione di origine di vini italiani o francesi, di prodotti di qualità, in nome della libertà di commercio?

O perché mai si dovrebbe riaprire in Europa alla sperimentazione animale per quanto riguarda i cosmetici? Le differenze esistono, hanno ragioni culturali e storiche, sono frutto di conquiste nella legislazione di tutela ambientale e di sicurezza alimentare che non possono essere cancellate. Malgrado promesse e annunci su una imminente chiusura dell’accordo, il problema del Ttip sta qui. Ed è evidente che su temi di questa rilevanza non sia possibile un compromesso, perché semplicemente non è «negoziabile» la sovranità dei cittadini. Ma esiste poi una seconda questione, assai delicata, che riguarda sempre la cosiddetta «armonizzazione» delle regole. Perché se anche si arrivasse a definire standard comuni, ad esempio, in materia di emissioni inquinanti o di regole ambientali sarà poi ancora possibile intervenire su questi temi da parte di un Parlamento o Consiglio comunale?

Da quanto si può leggere dalle carte uscite del negoziato sembrerebbe di no. Se il Ttip andasse in questa direzione si aprirebbe un abisso rispetto alle regole democratiche, perché si determinerebbero barriere insormontabili per qualsiasi modifica o miglioramento legislativo a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente. Se poi si considera che la bozza di trattato prevede un arbitrato per la risoluzione delle controversie tra imprese e Stati, ci si trova di fronte a uno scenario da brividi. Per cui alcune imprese potrebbero chiamare uno Stato o un’amministrazione pubblica in giudizio, attraverso una procedura di natura privatistica, e pretendere risarcimenti danni miliardari. Fantasie? Sono tanti gli esempi che si possono citare e che fino ad oggi sono stati arginati dalle norme in vigore.

Dalla Vattenfall che ha chiamato in causa il Governo tedesco per lo stop al nucleare, alla Philip Morris in Sud America per le campagne antifumo. Per tornare a un caso italiano recente, la società Rockhopper ha annunciato una citazione per danni contro il Governo italiano per lo stop al giacimento petrolifero Ombrina, davanti alla costa abruzzese.

Un domani, cosa potrebbe succedere se il Ttip fosse approvato? Anche solo ragionare di ipotesi di questo tipo è inaccettabile. Ma d’altronde se si eliminassero queste forzature dalla bozza di accordo, forse verrebbe meno non solo l’esigenza di segretezza rispetto ai contenuti, ma la stessa pressione da parte delle multinazionali per arrivare alla ratifica. A quel punto potremmo davvero aprire un confronto su un altro tipo di accordo, davvero utile a migliorare le relazioni commerciali tra Europa e Stati uniti, la qualità della vita e a rendere più forti i diritti per i cittadini europei e americani. Un trattato che magari aiuti lo scambio di tecnologie e brevetti per un mondo meno dipendente dal petrolio, per una alimentazione più sana e al contempo un sistema agricolo più forte e radicato nei territori.
Vicepresidente Legambiente