Il bellissimo Palazzo della Cultura e della Scienza che si staglia nella Piazza grande di Varsavia difronte alla Stazione Centrale e il grattacielo Hotel Marriott di 40 piani nato alla fine degli anni ’80 con annesso Casinò situato nel lato opposto, separati da un megacentro commerciale, sembrano quasi sfidarsi, simboli come sono dell’epoca comunista e di quella post. L’edificio costruito negli anni ’50 con architettura mista russa e polacca, quasi un piccolo Empire State Building, sta anche a ricordare minaccioso che lì si conservano e si consumano cinema, teatro, eventi culturali e altro, che il vento della destra che soffia da qualche anno sull’Europa dell’Est (compreso il nuovo governo conservatore polacco) non riesce a spazzare via ciò che è stato costruito dalle rivoluzioni socialiste.

Identità culturale

E il Warsaw International Film Festival, uno di quei festival europei dei quali i media italiani non si occupano affatto, permette di toccare con mano la capacità di chi (pubblico e privato) opera in Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Russia, ex Jugoslavia di saper rinnovare vecchi festival, rassegne e appuntamenti con moderate e lungimiranti strategie, insomma di saper preservare un’identità culturale. Ecco allora che le realtà che rappresentano simbolicamente il Marriott e il Palazzo della Cultura possono convivere in un festival e non solo. Basti pensare che il ricco e stimolante programma della 32esima edizione del Festival polacco (dal 7 al 16 ottobre) si snoda tra quattro (delle otto) sale del Multikino, il classico multiplex standard e funzionale collocato nel Centro commerciale, e cinque (delle otto) sale della Kinoteka pubblica (situata nel Palazzo della Cultura). E la strategia festivaliera riesce a bilanciare lo spettacolo, un’offerta di film come attendibile termometro dell’attuale (co)produzione europea e di alcune zone del mondo, un po’ di glamour, un’organizzazione e un’ospitalità invidiabili. Confermando il prestigio, la varietà di proposte, l’interesse da parte del pubblico e della stampa internazionale di un Festival che dopo il colosso di Karlovy Vary, è la più importante rassegna dell’Europa orientale.

I numeri
Del resto le cifre sono abbastanza eloquenti: circa 180 film distribuiti in 13 sezioni tra concorsi, fuori concorso, anteprime, documentari, corti e retrospettive, 80 mila presenze di pubblico pagante, 1375 accreditati tra media, professionali e industry. Oltre ai premi assegnati dalle varie giurie (vedi box in alto) tanti altri premi sono andati a documentari e corti distribuiti tra Polonia, India, Svezia, Russia, Canada, Inghilterra, Stati Uniti, Svizzera, Olanda. In linea con la tradizione cosmopolita e multietnica del Festival nel quale sono presenti davvero quasi tutti i paesi del mondo grazie anche alle tante coproduzioni che fanno incontrare e cooperare le cinematografie geograficamente più lontane e più diverse.

Cinema polacco oggi

Il Festival ha dato anche l’opportunità di verificare lo stato di salute del cinema polacco contemporaneo che naturalmente aveva una presenza massiccia (una quarantina di opere tra lungometraggi, cortometraggi, fiction e documentari). Dalla produzione polacca ma anche da quella di altri paesi dell’Est emergono alcune interessanti tendenze. Sono in vistoso aumento le donne registe di varie età che fanno valere la loro sensibilità particolare, il loro sguardo spesso più profondo di quello maschile, la loro esigenza di raccontare storie di altre donne che vivono condizioni di disagi sociali, psicologici o familiari.
C’è poi un’attenzione particolare per il disagio che vivono oggi molti adolescenti o giovani fuori e dentro la famiglia, una sensibilità per una generazione che non ha futuro. Molte opere inoltre danno interessanti indicazioni circa lo stile visivo e le soluzioni narrative adottate dai vari cineasti di diverse generazioni. Si passa dallo stile realistico duro e secco a quello che per raccontare la coralità del plot strizza l’occhio alla commedia americana, dalla forma lineare e anche didascalica a quella più ellittica e sofisticata, dal modo di narrare essenziale al servizio della storia e del personaggio a quello che ha come modello il cinema degli anni ’60 con macchina a mano che segue sempre il protagonista, a quello più astratto fatto di sospensioni e allusioni.