Già l’anno scorso abbiamo assaporato, pubblicata dal Saggiatore, la sorpresa dell’inedita sceneggiatura pasoliniana del 1959 La nebbiosa, intrigante viaggio noir tra i teddy boys milanesi («Venti atroci giorni chiuso in un alberghetto a lavorare come un cane», ricorderà Pasolini citato nella bella introduzione di Alberto Piccinini) che non si può accogliere che con gioia la ripubblicazione per l’editore Contrasto di La lunga strada di sabbia (pp. 200, euro 24,90), reportage giornalistico del 1959.

«C’è tanta pace che qui vorrei morire, finirla così dolcemente. Ma mi rialzo, corro su nel giardino, filo lungo tutto il viale, profumato da ubriacare. La situazione è di quelle che non si possono facilmente esprimere: tutto il golfo da Amalfi a Salerno è ai tuoi piedi, e tu voli. Riannodo le fila che mi parevano perse, con la grande Italia cristiana e comunale: non c’è Borbone che riesca a cancellarne lo spirito». Ecco la foto dell’Italia di Pier Paolo Pasolini che scrive dalle alture di Ravello in Costiera Amalfitana nell’ormai lontanissimo 1959. E bisognerebbe far rileggere queste ed altre pagine dell’artista friulano a molti giornalisti e scrittori di oggi del tutto attardati su vecchiezze di ogni tipo a partire, per stare soltanto al nostro Sud, da un «neoborbonismo» caramelloso camuffato da protesta e progresso. Pasolini compì il viaggio, su di un’idea del fotoreporter Paolo Di Paolo che scattò per la rivista le foto, con un auto Fiat Millecento, attraversando tutte le coste italiane dal Tirreno allo Ionio, all’Adriatico. Il testo delle tre puntate uscite, non integralmente, sulla rivista «Successo» nel 1959, è non solo pubblicato qui per intero ma accompagnato dalla documentazione dei fogli scritti a mano dall’autore: un viaggio discontinuo (di lì a qualche anno verranno, stavolta per il cinema, i reportage compiuti di «Comizi d’amore») che però contiene tutta la ricchezza di intuizioni sull’Italia di allora, sui luoghi diversi, sui cambiamenti che si stavano preparando. La capacità dello scrittore di evitare i cliché «vacanzieri» (ma descrivendo naturalmente i tic e le manie di un’Italia ansiosa di vacanze) è indubbia così come altrettanto felice è il suo approccio ai riti e miti di un paese al confine del passaggio storico tra mondo contadino e boom alle porte.

La lunga strada di sabbia è accompagnata dalle foto in bianco e nero del 2001 di Philippe Séclier («Mi accorgo che in tutti i miei soggiorni in Italia, in un modo o nell’altro, ho incrociato Pasolini, fino a quando poi La lunga strada di sabbia non mi ha portato sulle sue tracce») che ripercorre, a mo’ di omaggio affettuoso, in foto evocative e ammalianti, il viaggio pasoliniano.