«Sono decisamente migliore come progettista di giardini che come scrittrice» dice di sé Edith Wharton, e in effetti non era una dilettante. Anzi, all’inizio del ’900, cioè prima di scrivere i suoi romanzi, era molto nota non solo come designer, ma anche come attenta osservatrice dei costumi del proprio paese. Il suo primo libro è, infatti, proprio un manuale su architettura e decorazione, considerato ancora oggi come uno dei testi più influenti. The Decoration of Houses, scritto insieme all’architetto Ogden Codman, che aveva già lavorato alle sue case di New York e Newport, non propone solo uno stile semplice, classico secondo i principi di simmetria, proporzione ed equilibrio, ma è soprattutto una denuncia di quello stile vittoriano alla moda e tipico di una nuova classe ricchissima ma ancora in cerca di una propria identità e assolutamente priva di gusto. Per Edith Wharton il tema dell’arredamento, della decorazione, e così anche dell’architettura dei giardini, non è certo marginale, piuttosto è una critica al conformismo dell’America di quel periodo che cercava il suo status in uno stile dominato dalla volgarità, descritto molto bene nel 1899 da Thorstein Veblen in The Theory of the Leisure Class.

Contro il lusso ostentato

Armonia e proporzione dunque contro la pacchianeria della cosiddetta «Gilded Age», termine coniato da Mark Twain per quel periodo di fine secolo e che ben conosce anche Wharton nata in una delle famiglie più ricche di New York, di rapida crescita economica e forte aumento dell’industrializzazione. Un’epoca di corruzione, di brutale competizione e nello spesso tempo di forti conflitti sociali. Insomma nasce una nuova classe di industriali e finanzieri. Famiglie come i Rockfeller, Fricks, Vanderbilt, Morgan accumulano le loro fortune.
A New York, grande soggetto dei romanzi di Wharton, ma anche a Long Island, oppure lungo le rive dell’Hudson e poi su verso nord fino al New England si costruiscono nuove ville, sfarzose residenze estive e invernali dove prevale dentro e fuori quel modello opulento, con proliferare di orpelli e fronzoli, marmi e intarsi dorati, riproduzioni di statue in bronzo e dipinti delle cascate del Niagara. In molti suoi romanzi, soprattutto in L’età dell’innocenza e La casa della gioia, sono descritti salotti, arredamenti, decorazioni di appartamenti lussuosi sulla Fifth Avenue, di magioni estive e giardini a Newport in un continuo e costante confronto con la realtà europea che la coltissima Edith conosce e osserva fin da ragazza. Come, per esempio, nella descrizione della residenza dei Bry ne La casa della gioia: «tanto era recente e realizzata in fretta la mise-en-scene, che bisognava toccare le colonne di marmo per capire che non erano di cartone, e sedersi in una delle poltrone d’oro e di damasco per essere certi che non fossero dipinte sulle pareti». Anche i giardini, così perfetti, stracolmi di statue e fontane zampillanti, sono curati con una tale maniacale attenzione da essere stucchevoli, finti, leziosi.
Tra il 1901 e il 1902 Edith Wharton mette in pratica le sue idee progettando The Mount, la sua luminosa e moderna residenza nel Massachusetts occidentale, vicino alle montagne del Berkshire. Qui vivrà in estate e autunno fino al 1908, con frequenti pause per lunghi viaggi in Italia e Francia. Questo luogo diventerà fonte di ispirazione anche per i suoi romanzi: le donne che vivono in residenze simili sono sole, tormentate, vittime di crudeli convenzioni sociali, così come il paesaggio del New England, la povertà e l’indigenza dei contadini, in contrasto con le ricchezze di poche famiglie, descritti in Ethan Frome.
Con molta attenzione, Wharton sceglie la posizione della villa: «su una collina che si affaccia sulle acque scure e sulle rive boscose del Laurel Lake abbiamo costruito una casa spaziosa e composta», lontano quindi dal disegno ostentato delle grandi Mansions di Newport dei Vandebilt o degli Astor, che l’amico Henry James definisce come «delicate French chateau mirrored in a Massachusetts pond», dove poter intrattenere il suo ristretto cerchio di amicizie, ma anche un luogo intimo, confortevole e ordinato dove scrivere i suoi romanzi.
Il paesaggio diventa lo sfondo perfetto e pittoresco per la villa, la vista delle montagne e della campagna intorno creano uno studiato contrasto con le rigide geometrie del giardino formale. Un ampio terrazzo al piano terra offre uno spazio intermedio, di passaggio tra interno ed esterno; da qui si scende grazie a un’ampia scalinata doppia al giardino terrazzato ai piedi della collina e da cui godere della vista sul lago.
La villa è immersa in un parco di circa quaranta ettari. La strada di accesso, delimitata da filari di Acer saccharum, è immersa in un bosco. Wharton inserisce nel parco numerose piante locali come il pino strobo, la tsuga e la betulla, insieme ad altre spontanee come il Trillium grandiflorum, l’Asarum canadense, la Sanguinaria canadensis o il New England Aster. Numerose varietà di felci sono utilizzate per le zone d’ombra insieme ad altre piante autoctone come la Clethra, la Buddleja, l’Amelanchier e la Rhus. C’è anche un orto, progettato da Beatrix Farrand, nipote di Edith Wharton e prima donna americana architetto del paesaggio.

Logiche bellezze

Il giardino invece si sviluppa solo sul fronte principale villa ed è geometrico, ordinato. L’intento era quello di importare in America uno stile europeo, un design simple and architectural che qui si traduce in un’elegante serie di stanze all’aperto per creare un uniforme, coerente insieme architettonico, in armonia con la casa e il paesaggio. Un unico percorso rettilineo delimitato da tigli potati, una linea parallela all’edificio, si apre alle due estremità, quasi al confine con il bosco, in giardini simmetrici decorati da parterres, fontane, fiori, statue fino a un giardino roccioso. Anche nel parco, Wharton applica quella combinazione di logic and beauty della migliore tradizione italiana del giardino rinascimentale, di cui scriverà nel suo Italian Villas and Their Gardens, pubblicato nel 1904.
The Mount oggi è un National Historic Landmark ed è aperta al pubblico grazie all’attento restauro curato dalla Edith Wharton Restoration Society. Più di tre milioni di dollari sono stati investiti solo per restaurare il giardino e per ripiantare cinquemila piante tra alberi, arbusti ed erbacee. Come quelli rinascimentali che amava tanto, anche questo giardino è bello tutto l’anno, possiede «uno charm indipendente dalle stagioni».
Ma il giardino di The Mount non è la sua unica creazione: quando si stabilisce definitivamente in Francia, dopo la fine della guerra, Edith Wharton ne progetta due diversi. Il primo è sulle colline di Hyères, in una residenza chiamata Château Sainte-Claire, costruita sulle rovine di un convento del XVII secolo. Qui la scrittrice passava l’inverno, attorniata dal tipico paesaggio della Costa Azzurra, con terrazzamenti, delimitati da muretti a secco e collegati tra loro da stretti sentieri che degradano dolcemente verso il mare. Il giardino è solare, variopinto, ricco di cipressi, piante esotiche, succulente, rose e grandi macchie di fiori.
L’altro invece si trova in una casa del XVIII secolo, conosciuta come «Pavillon Colombe» nella piccola cittadina di Saint-Brice-sous-Fôret, sui bordi della foresta di Montmorency nelle vicinanze di Parigi, dove invece amava passare l’estate. Chiuso da mura, esposto a nord, il giardino è di nuovo formale, classico, con parterres geometrici di bosso, una fontana, un orto e diversi piccoli giardini, come stanze, che hanno tutti un unico colore predominante. Entrambi esistono ancora e insieme a The Mount sono la conferma della capacità e conoscenze di una donna libera, eclettica, curiosa, colta, in grado non solo di scrivere grandi romanzi – è la prima donna a ricevere il premio Pulitzer per L’età dell’innocenza – ma anche, creando giardini, di saper introdurre un nuovo stile e nuove idee, oltre le rigide etichette e i soffocanti pregiudizi della sua epoca.