Dopo la pausa estiva la politica tedesca ricomincia dalle elezioni in tre länder orientali: oggi tocca alla Sassonia, tra due settimane sarà il turno di Brandeburgo e Turingia. Complessivamente, oltre due terzi degli elettori che vivono nella ex Ddr sono chiamati a rinnovare i parlamenti regionali in una fase in cui al centro dell’attenzione del governo di Angela Merkel ci sono le questioni internazionali: in particolare, la crisi russo-ucraina e quella irachena (sull’invio di armi ai kurdi deciderà il Bundestag convocato in seduta plenaria ad hoc domani).

Sembrano già cadute nel dimenticatoio, almeno apparentemente, le cattive notizie economiche di ferragosto: quell’assai scarso 0,2% di crescita nel secondo trimestre di quest’anno che fa della «locomotiva» d’Europa una motrice bisognosa di revisione. Ma non secondo la classe dirigente tedesca: in un’intervista apparsa ieri sull’autorevole quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine, il capogruppo al Bundestag della Cdu, Volker Kauder, ha liquidato la questione ribadendo soltanto che l’esecutivo non aumenterà il debito pubblico, perché «non serve a risolvere i problemi». Aggiungendo malignamente: «Come vediamo purtroppo in Francia».

Che ci sia un problema con gli investimenti interni lo si ammette, un po’ a denti stretti: per «sviluppare idee» utili al loro rilancio è stata messa in piedi una nuova, immancabile, «commissione di esperti» presso il ministero dell’industria. L’impegno vero dell’esecutivo Merkel, tuttavia, è sempre e solo sui conti pubblici propri e – soprattutto – altrui, che vanno tenuti sotto controllo con le ricette tristemente arcinote.

La più forte voce fuori dal coro è la Linke, principale forza di opposizione, che lo scorso lunedì ha presentato un programma di politica economica alternativo a quello della «grande coalizione», ponendo l’accento sulla mancanza di personale in asili, scuole e ospedali, e sulle carenze nel sistema pubblico di trasporti. Idee e proposte formulate senza il bisogno di ricorrere a nessun particolare «esperto».

I socialdemocratici della Spd, guidati dal vicecancelliere e ministro dell’industria Sigmar Gabriel, dopo i primi otto mesi di grosse Koalition strombazzano i loro presunti risultati, ma la misura più importante, e cioè il salario minimo legale di 8,5 euro l’ora, entrerà in vigore gradualmente soltanto a partire dall’inizio del prossimo anno. E il rischio che si riveli troppo poco per il necessario rilancio di una domanda interna stagnante c’è tutto: gli ottanta euro renziani insegnano. Ora il governo vuole puntare le proprie carte su una «Agenda digitale» che contribuisca a generare sviluppo e occupazione ad alto contenuto tecnologico: per ora, tuttavia, siamo soltanto alle buone intenzioni e a generiche linee-guida.

Dal voto di oggi non sono attesi, salvo imprevisti, segnali politici di rilievo: la Sassonia (4 milioni di abitanti, disoccupazione all’8,5%, quasi 2 punti oltre la media federale) è un feudo democristiano, e secondo tutti i sondaggi la Cdu manterrà il suo 40%. La cancelliera Merkel può stare tranquilla, così come il governatore uscente, il 55enne Stanislaw Tillich, unico importante esponente politico tedesco appartenente alla piccola minoranza linguistica slava dei sorabi. Molto più in ansia, invece, i liberali della Fdp, che stasera rischiano di perdere l’ultima porzione di potere che ancora conservano: facevano parte dell’amministrazione uscente, ed è assai probabile che, seguendo il trend nazionale, la soglia di sbarramento al 5% impedirà loro l’accesso al parlamento regionale di Dresda. La Spd è pronta a sostituirli come partner di governo – anche in questo caso, seguendo lo schema generale – della Cdu. Molto probabile, purtroppo, il superamento dello sbarramento da parte dei neonazisti della Npd (presenti nel Landtag sassone dal 2004) e degli eurofobi di Alternative für Deutschland.

Più interessante sarà il voto di domenica 14 settembre, quando potrebbe realizzarsi una piccola svolta storica: la nascita di una coalizione progressista (Spd-Linke, e forse Verdi) guidata per la prima volta da un dirigente della Linke. È uno scenario che può concretizzarsi in Turingia (2 milioni di abitanti): avrebbe una grande valenza simbolica in sé, ma sarebbe anche un passo importante nella normalizzazione dei rapporti a sinistra, in vista di possibili – ancorché, allo stato, ancora improbabili – alleanze future su scale superiori e molto più importanti.