Il nostro facente funzione presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, ha dichiarato due giorni fa che «l’Italia non è aperta a scorribande». E’ una affermazione sorprendente, se si pensa che delle grandi imprese che costellavano il panorama italiano di una volta, gran parte di quelle che nel frattempo non hanno chiuso i battenti, dalla Olivetti alla Montedison, o non sono scappate verso altri lidi, come la Fiat, sono state tranquillamente acquisite dal capitale straniero, senza che la politica abbia mai sostanzialmente avuto molto da dire.

Ricordiamo soltanto i casi della Edison, della Pirelli, della Ariston, della Telecom Italia, di alcuni pezzi di Finmeccanica (in attesa che magari si ceda anche il resto fra qualche anno), di Alitalia.

I perché di questa strage che ha pesantemente contribuito a rendere il nostro paese sempre più irrilevante sulla scena europea fanno riferimento contemporaneamente ad una politica incapace di concepire una linea di sviluppo adeguata per il nostro sistema industriale, delineando tra l’altro un perimetro strategico da tenere sotto controllo come si fa ormai in tutti i principali paesi occidentali; ad una classe imprenditoriale per la gran parte imbelle o rinunciataria; ad un sistema finanziario, infine, pronto almeno sino a ieri a finanziare in via prioritaria i palazzinari e largamente incapace invece di valutare adeguatamente il merito di credito delle singole imprese.

E’ di questi giorni un assalto francese ad alcuni dei nostri residui bastioni societari, quello a Pioneer, la finanziaria di gestione del risparmio controllata sino a ieri da Unicredit e quello a Mediaset, mentre si prepara anche la cessione di una parte consistente del capitale dell’Ilva agli asiatici e la vendita, di nuovo ai francesi, della Esselunga.

Per quanto riguarda il primo caso, che è passato sotto il solito silenzio distratto della nostra classe dirigente, ed anche in quello di Gentiloni, si è ceduta una finanziaria di grande rilevanza ai francesi di Amundi, che sono stati preferiti rispetto alle nostre Poste. La cosa appare piuttosto grave dal momento che, tra l’altro, in Pioneer sono parcheggiati un bel pacchetto di titoli di stato nazionali, la cui gestione passa così in mani lontane.

Quale potrebbe essere il senso dell’assalto di Bolloré, con la sua Vivendi, all’impero di Berlusconi? Il finanziere francese sembra nutrire grandi ambizioni a livello europeo per una forte presenza in un settore in cui si assiste a delle pesanti trasformazioni. Esse vedono una forte convergenza di reti televisive, di società che producono contenuti, di aziende telecom, nonché di imprese operanti nei settori della musica e della pubblicità, di fronte anche all’emergere di una forte concorrenza ai due lati dell’Atlantico. Essa è rappresentata dalla Netflix, da Bertelsmann e da Murdoch, che proprio in questi giorni sta tentando di acquisire il 100% della britannica pay-tv Sky.

In questo quadro, una società come Mediaset, che controlla il 58% del mercato pubblicitario italiano – senza che né Gentiloni né altri come lui si siano mai scandalizzati-, nonché il 43% di quello spagnolo (Financial Times), può fare molta gola. Nel frattempo, in questi mesi Bolloré ha acquisito due altre società, la Gamelot e la Ubisoft, operanti nel settore dei giochi in linea, mentre si ipotizza che egli voglia tentare l’assalto alla più grande società di tlc del suo paese, la Orange ed accrescere il livello di comando sulla più grande agenzia pubblicitaria, la Havas.

Si può certo dubitare che le intenzioni di Bolloré siano di tipo industriale, come appena indicato, o invece solo finanziarie, con una operazione che gli permetterebbe di guadagnare in poco tempo qualche centinaia di milioni di euro con le oscillazioni dei prezzi di borsa. Sia pure con qualche dubbio, noi propendiamo per la prima ipotesi, anche se dobbiamo constatare che due giorni fa il titolo ha registrato in poche ore un guadagno di più del 31%.
Il magnate francese sembra ora detenere il 20% del capitale dell’azienda milanese, ma il controllo del gruppo Mediaset sembrerebbe blindato, dal momento che la famiglia Berlusconi ha nella sue mani circa il 40% del pacchetto. Bisogna però considerare che, da una parte, la presenza dei francesi, anche così, potrebbe dare molto disturbo in caso di assemblee straordinarie, dall’altra che alcuni dei figli di Silvio potrebbero essere tentati di cedere le loro quote; alcune loro dichiarazioni passate sembrerebbero aprire qualche spiraglio in questo senso.

In ogni caso la strategia di Bollorè potrebbe essere quella di entrare nel gioco per gradi, sapendo anche che Berlusconi sta invecchiando e che i figli non sembrano all’altezza, mentre anche le tendenze del mercato, con la forte concentrazione in atto nel settore, che richiede forti capitali per essere portata avanti, remano contro la famiglia. Egli si potrebbe anche accontentare, per il momento, di contribuire a determinare le principali scelte dell’azienda e di sistemare la questione di Premium, la pay-tv di Mediaset in cattive acque.

Ci aspettiamo comunque che Gentiloni, Renzi, la Boschi e compagnia non aprano bocca nell’affare, come non lo hanno fatto due giorni fa nel caso altrettanto importante di Pioneer e come in altre precedenti occasioni. Ma forse saremo smentiti dagli eventi.