A pochi passi dal mare, in uno dei luoghi più incantevoli e immutabili di Sorrento, il chiostro di San Francesco, quadrato di intensa spiritualità, con le sue colonne tutte diverse di tufo e le macchie verdi delle sue magnifiche piante, c’è l’indicazione «music box exhibition, mostra di scatole musicali, secondo piano, ingresso gratuito». Un paio di rampe di scale (al primo piano un istituto artistico) ed eccoci catapultati tra oggetti e suoni del tempo che fu, in un posto d’intensa magìa. Una collezione di scatole sonore e dischi bucherellati, mobili intarsiati e macchine automatiche, cilindri metallici e aghi, tutto l’armamentario della musica riprodotta tra fine ‘800 e inizio ‘900, una collezione di più di trenta apparecchi musicali messa insieme da Enrico Salierno, un emigrante della costiera sorrentina che ha fatto fortuna dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti importando mobili e prodotti italiani, senza dimenticare da dove era partito.

Ha raccolto queste musical boxes, in gran parte molto lavorate, con musiche famose o con carillon che sono diventate un classico oggetto regalo della costiera, con le ballerine che girano e con motivi musicali diversi. Ma ha recuperato anche queste macchine, generalmente congegni svizzeri – incredibilmente nati da una sorta di parentela con i meccanismi d’orologeria – e poi francesi, tedeschi, americani dove veniva messo sul piatto un disco di rame con dei buchetti che riproducevano la musica di canzoni e romanze famose, da quelle tipiche napoletane a opere come Traviata ma anche Beethoven, la Danza delle Ore, brani patriottici (dalla Marsigliese a Va’ Pensiero), che si potevano scegliere con dischi diversi.

Cinque anni fa Salierno è tornato in cielo e ha donato la sua collezione all’associazione degli intarsiatori della città che hanno organizzato diverse mostre per farla conoscere un po’ in giro.
Mario Iaccarino, un artigiano in pensione, custode del museo, subito fa partire uno di questi congegni e le note del Carnevale di Venezia o del Trovatore si spandono nell’aria. «La tarsia è arrivata a Sorrento nell’800, seguendo una tradizione che risaliva ad alcuni secoli prima. La storia dice che sono stati i monaci benedettini toscani i primi ad applicarsi su quest’arte. Grazie alla complessità degli oggetti realizzati, si riusciva a inventare immagini (paesaggi, ritratti, decori, nature morte, etc.) ricorrendo all’ utilizzo di sottilissime sfoglie di legnami di diverso colore o tonalità (spesso prodotti dalla vegetazione locale), alternate a non meno sottili lamine di altri materiali (come l’ avorio e la madreperla).

Non bisogna dimenticare che ebanisti locali avevano già lavorato al restauro degli arredi di Palazzo Reale a Napoli. Particolare importanza ebbe la nascita della scuola applicata all’industria dell’intarsio e dell’intaglio (1886). Cofanetti, cassoni nuziali, portagioie, vassoi, carrelli, mobili venivano creati dai maestri artigiani locali che risentivano anche dell’influenza modernizzante dei numerosi artisti che venivano a svernare nella Terra delle Sirene. Nel periodo d’oro del boom economico c’erano anche specialisti nelle varie fasi della lavorazione: traforatori, ricacciatori (dediti al perfezionamento dei disegni) e lucidatori. Oggi di botteghe artigiane ce ne sono meno di trenta (nel dopoguerra erano un centinaio) perché i ragazzi non vanno più ad imparare un mestiere e non sono troppo contenti di fare questo lavoro. Le botteghe sono state tutte espulse dal centro storico per motivi economici e ambientali (il rumore, la polvere del legno, le misure di sicurezza e ambientali da adottare con le normative europee, ecc). Anche se, dopo una fase di produzione industriale un po’ scadente che arrivava dall’estero, si è tornati ad apprezzare oggetti di alta qualità e piuttosto cari».


In questi magnifici pezzi lavorati d’epoca, generalmente la scatola di legno intarsiato è sorrentina mentre i congegni sofisticati sono svizzeri, francesi, americani. Nel 1796 un orologiaio svizzero, Antoine Favre di Ginevra, fece il passo decisivo, mettendo al posto dei campanelli delle strisce metalliche preaccordate che permettevano una scala di tonalità più ampie e un suono più preciso. Anche la miniaturizzazione andò avanti, con interruttore, meccanismi, lamelle e cilindri. Il richiamo ai carillon delle corti medievali era esplicito. Spesso questi congegni vennero inseriti in orologi da tasca, giocattoli a molla e tabacchiere di legno.

Ci sono tante scatole di legno, la grandezza di una fonovaligia portatile, con un braccetto fisso e un disco metallico da dove vengono fuori suoni dolci, alcuni funzionano anche con la carica di una manovella. Un apparato per produrre musica meccanicamente, un piatto di metallo con denti da pettine. Un grande mobile verticale di marca Polyphon, ha la scritta Automatic instrument. E più sotto Insert a penny in the slot and the instrument will render a selection of music, un parente dei primi giochi automatici a moneta, un cugino dei coin-in e dei flipper .

Affianco una vetrinetta/teatrino con quattro ballerine che si muovono a ritmo d’opera. Tutti i congegni musicali sono originali e perfettamente funzionanti, con questi mobili coi dischi perforati che possono essere visti come gli antenati dei giradischi e dei jukebox. Si resta quasi incantati ad ascoltare queste melodie d’altri tempi. Un grosso cassettone per una decina di canzoni e un qualunque device digitale di oggi, smartphone o tablet, ne può contenere centinaia. L’esposizione è permanente, sulle pareti limitrofe ci sono tanti mobili – in gran parte intarsiati ma non solo – delle varie botteghe artigiane, messi con un intento promozionale verso i molti turisti che si lasciano incantare da queste scatole musicali. Sono olmo, noce, pioppo, palissandro, arancio, i legni più usati per le tarsie. Affianco c’è l’Unione Artigiani Intarsio Sorrentino, l’organizzazione che cerca di aiutare e rilanciare il lavoro degli artigiani.


Non molto distante si trova il Museobottega della Tarsialignea, invenzione dell’architetto e collezionista Antonio Fiorentino, dove ci sono tantissimi esempi della produzione locale, con storie e generazioni di artigiani, pezzi introvabili che raccontano una passione antica. «Ho avuto la fortuna nel 1980 di entusiasmarmi per questi prodotti d’artigianato locale che venivano assai poco considerati dagli abitanti della costiera – racconta lo storico e designer – Le tarsie erano nate come un prodotto di qualità per una clientela ricca e straniera e pochi sorrentini avevano questi mobili in casa.

L’immagine dell’intarsiatore che con movimenti rapidi e decisi trafora il blocco d’impiallacciature secondo le linee del disegno già predisposto, vista nella calda atmosfera di una bottega dove ogni dettaglio è un richiamo al passato, sollecita fortemente la memoria a recuperare le origini di quest’arte, tipica della città di Torquato Tasso Sono andato a recuperarli in giro per l’Europa, in un momento in cui ancora non c’era stata una loro rivalutazione, e ho avuto l’occasione di lavorare e prendere questo Palazzo Pomarici Santomasi, in via San Nicola, che era stato danneggiato dal terremoto. Piano piano abbiamo fatto dei lavori e nel 1999 è stato aperto questo museo che è anche bottega perché l’intento è quello di aiutare le giovani generazioni, di valorizzare la nostra memoria ma anche di proiettare nel futuro questi lavori che cominciano ad essere utilizzati anche nell’architettura d’interni, negli arredamenti moderni coi loro motivi floreali e geometrici».


Torniamo nel fatato chiostro di San Francesco e troviamo sul muro il cartello antico «Uscita d’emergenza verso il mare», anche i monaci del convento avevano bisogno di prolungata meditazione (e preghiera) e di un contatto diretto con il grande blu placido e fantastico di questo angolo della costiera.