Nel degrado senza fine della nostra (si fa per dire) classe dirigente, non spiccano solo faccendieri, criminali e politici di seconda fila di Mafia Capitale. Accanto al latrocinio e alla corruzione, c’è la violenza, la volgarità di personaggi di primissimo piano, leader di partito che l’Italia ha conosciuto anche come ministri di peso. Uno di questi è Roberto Maroni, tra i principali protagonisti di quel coro d’odio contro gli immigrati che fomenta la rabbia sociale e pericolosamente sovrasta la più grande tragedia in atto tra Africa e Medio oriente.

Insieme a Zaia e Salvini (al miracolato Toti), Maroni è alla testa di una forsennata campagna contro la decisione del governo di distribuire i migranti in tutto il paese, comprese le ricche regioni del nord. In perfetta coerenza con la svolta fascio-leghista impressa dal suo successore, il governatore della Lombardia alimenta la truculenta propaganda promettendo premi ai comuni che sceglieranno di respingere uomini, donne e bambini in fuga da fame e guerre. E da ieri invoca anche la “legittima difesa” di sparare sui treni per difendere i ferrovieri dagli episodi di violenza di cui sono vittime (per la cronaca 309 le aggressioni, 54 opera di stranieri, 41 di italiani, un bilanciamento quasi perfetto).

Un tempo considerato il leghista dal volto umano, Maroni cerca di onorare i suoi trascorsi tanto umanamente brutali quanto politicamente catastrofici. Da ministro dell’interno negò la presenza della mafia nelle terre leghiste, denunciata da Roberto Saviano, salvo essere sommerso dalle inchieste sulla piovra ’ndranghetista del profondo nord. Sempre lui ordinò i respingimenti in mare provocando la condanna all’Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo, e sua fu l’invenzione del reato di immigrazione clandestina che il parlamento italiano cancellò dopo qualche anno. Senza dimenticare l’ultima buffonata di vederlo, ancora capo del Viminale, invitare le regioni a ripartirsi gli immigrati salvo adesso urlare il contrario. Al dunque, un politico con l’unica abilità di ridicolizzare se stesso (ma non è il solo).

Purtroppo, lui, come Zaia e Salvini, seminano tempesta e raccolgono voti instillando nella società il virus dell’invasione dei migranti. Di fronte allo spettacolo, umiliante e doloroso, di migranti bloccati nelle nostre stazioni ferroviarie di Roma e Milano, ieri sono intervenuti il Vaticano, il papa e l’alta gerarchia ecclesiastica. Con un appello generale alla misericordia e all’accoglienza, il papa invita i cappellani di stazioni e aeroporti a prestare soccorso, il cardinale Bagnasco chiama all’impegno verso chi è disperato, il vescovo di Padova fa scendere in campo sant’Antonio che dalle sponde africane approdò in Sicilia dopo un naufragio.

Per aprire una crepa politica contro gli imprenditori dell’odio oltre alle benemerite prediche, ci vorrebbe un governo all’offensiva, in Italia e in Europa. Ieri, intervenendo all’Expo, il premier Renzi – da cattolico che segue i messaggi del papa – è sembrato andare in questa direzione, mettendo in guardia dai «tanti che abbaiano alla luna, quelli che vivono sulla paura». Ufficialmente si rivolgeva agli ospiti dell’America latina, in realtà il messaggio era diretto al volto pietrificato del governatore della Lombardia che gli sedeva accanto.

Ma, ancor di più, per abbattere il muro culturale contro i migranti ci vorrebbe un’informazione, soprattutto televisiva, che non fosse ridotta a tele-Salvini, uno spettacolo di indecorosa grancassa, corresponsabile di istigazione all’odio razziale.