L’arrivo in massa dei partecipanti al Forum sociale internazionale ieri mattina ha bloccato il traffico nelle strade adiacenti al campus universitario di al Manar. Abbandonati i mezzi di trasporto perché si arrivava prima a piedi, ci aspettava una lunga fila per superare i controlli di sicurezza, inevitabili a una settimana dall’attentato al museo del Bardo. Ottenuto anche l’accredito, non restava che sfogliare le 88 pagine del programma per individuare un gruppo di lavoro da seguire. C’è solo l’imbarazzo della scelta: donne, diritti, lavoro, economia alternativa, Mediterraneo, cittadinanza, migrazione, media, sovranità alimentare, la pace, l’ambiente, il clima, etc.. E poi la difficoltà di trovare il luogo in cui si svolge l’incontro, tra le innumerevoli sale dislocate nelle varie facoltà dell’università.

Ad aiutare a districarsi tra le varie sigle delle sale vi è un nutrito gruppo di volontari e soprattutto volontarie tunisine, gentili e disponibili. Sembra fatta, sempre se durante il percorso non si viene travolti dalla corrente fatta di donne, uomini, giovani che attraversano lo spazio centrale della facoltà di diritto. Arrivati finalmente alla meta, può darsi che la sala sia vuota o che a parlare di Kobane ci sia un comunista americano o un sindacalista italiano!

Il tutto mentre continuavano i lavori per montare i vari gazebo, stand, bancarelle, approfittando del sole che oltre a riscaldare cominciava ad asciugare il fango lasciato dalla pioggia che aveva imperversato il giorno prima.

Il Forum non manca di aspetti folkloristici, si canta, si balla, si vende di tutto, c’è chi improvvisa un comizio mettendosi in cima a un barile per essere meglio notato, soprattutto dai giornalisti che non possono certo fermarsi a seguire un dibattito approfondito.

Sono circa 60 mila i partecipanti al Forum, quasi nessuna diserzione causata dall’attacco terroristico, a parte alcuni francesi, anzi alcune delegazioni sono aumentate di numero proprio per esprimere solidarietà ai tunisini, come 1.500 algerini che sono arrivati proprio per questo e martedì si sono scatenati durante la manifestazione urlando slogan per rinsaldare i legami e l’impegno comune nella lotta al terrorismo.

D’altra parte «è indispensabile un lavoro comune tra Algeria, Tunisia e Libia per far fronte al terrorismo», mi ha detto Mbarka Brahmi, la vedova di Mohamed Brahmi assassinato dai terroristi nel luglio del 2013, ora deputata del Fronte popolare e vicepresidente dell’Assemblea nazionale. Non potevano mancare dibattiti sulla violenza e il terrorismo, uno dei quali è stato organizzato proprio dall’associazione Brahmi. Secondo Mbarka il terrorismo ora ha cambiato tattica colpendo un simbolo come il parlamento «perché quel palazzo è la sede dell’Assemblea nazionale che ospita anche il museo e se lo stato non li fermerà la prossima volta attaccheranno il palazzo di Cartagine (residenza del presidente della repubblica) o la Kasbah, dove ha sede il governo», ha aggiunto la deputata eletta a Sidi Bouzid, dove è nata la rivoluzione. E oggi l’Assemblea nazionale discuterà la legge contro il terrorismo.