Il metodo di lavoro è rintracciabile ne Il Castello Interiore: Santa Teresa d’Avila utilizza sette stanze per suddividere l’animo umano, Gian Maria Tosatti ha attraversato per tre anni Napoli in cerca di altrettanti luoghi, di solito inaccessibili, per sviluppare Sette Stagioni dello Spirito, ascensione dall’inferno verso una pratica possibile di paradiso. Il progetto è stato organizzato dalla Fondazione Morra con il sostegno della galleria Lia Rumma: al museo Madre (fino al 20 marzo) è ora in mostra una nuova versione dell’intero lavoro, a cura di Eugenio Viola.

IL VIAGGIO INIZIA nella sala all’ingresso: sul pavimento del Madre poggia una porzione di pavimento della studio di Tosatti. Sulle pareti negativi di polaroid: una sequenza di rettangoli neri da cui si possono rintracciare le forme solo in controluce. In una teca il diario di bordo, nella sala accanto il video del making of: una sorta di controracconto che non mostra mai le opere. Per rintracciarle bisogna salire al secondo piano. La prima sala è «un’invocazione alle muse», spiega Tosatti, che ha voluto tenere La Rivoluzione Siamo Noi di Joseph Beuys (in collezione al Madre) nel suo percorso. Da lì in avanti comincia l’ascesa dagli Inferi.

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Prima tappa i tasselli presi dal lavoro allestito nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, chiusa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sulle pareti le immagini degli altari, avvolti in bende come un arto ingessato, e del portone interamente ricoperto da uno strato di cera, che nessuno in tre anni ha osato rovinare. In un angolo l’organo a cui è impedito di suonare da frammenti di vetro che bloccano i tasti. La sala successiva è il relitto dell’anagrafe, realizzata con gli arredi presi dall’ufficio comunale dismesso di piazza Dante: avvisi, documenti, cartelli che indicano percorsi inesistenti, macchine da ufficio da archeologia industriale, un intero mondo in abbandono. La terza stazione racconta di Lucifero bambino, chiuso in una cella che assomiglia a una cameretta di collegio: il set è stato allestito nei Magazzini Generali, edificio monumentale del porto disegnato dall’architetto Marcello Canino negli anni Quaranta, anche questo in stato d’abbandono. Le sequenze appaiono da una serie di vecchi visori per diapositive, proiezioni di una ribellione in cui siamo chiamati a specchiarci.

LA NARRAZIONE PROSEGUE fino alla fabbrica dismessa a Forcella: sulla saracinesca i segni dei bossoli sparati per provare le armi dei clan. «I ragazzini hanno deciso di aiutarci a pulire la fabbrica – racconta Tosatti -. Raccontavano le storie del rione, finite poi in un giornale che hanno cominciato a fare con noi. Le storie così non facevano più paura, avevano cambiato di segno. Quando il lavoro è finito, uno di loro mi ha portato davanti a un’altra saracinesca: ’ricominciamo da qui’ mi ha detto». Nei fori della serranda, in mostra al Madre, Tosatti ha versato colature d’oro.
La tappa finale, Terra dell’ultimo cielo, rimanda all’istallazione ancora visitabile al Convento della SS. Trinità delle Monache fino al 7 gennaio.