Bocciato il condono edilizio e bocciate le norme sul servizio idrico integrato. Il ministero dell’Ambiente il 18 settembre scorso ha mandato una nota alla regione Campania in merito alle norme approvate a fine luglio nel maxiemendamento (votato con la finanziaria). In primavera si vota per le regionali e il condono edilizio, si sa, porta molti voti, mentre l’acqua ai privati spiana la strada alle lobby. La nota però si mette di traverso ai piani del presidente Stefano Caldoro.

A cominciare dal condono. Il maxiemendamento riapre i termini della sanatoria dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2015: si legalizzano gli abusi che non sono «in aree a inedificabilità assoluta», cioè altro cemento ad esempio nella zona vesuviana o in penisola sorrentina. Via libera persino nelle zone «a rischio idraulico» (dove vige un’inedificabilità parziale). Tutte decisioni che la regione non avrebbe potuto prendere perché regolate dalla legge nazionale 47 del 1985, e che sono «in contrasto con le “norme statali di principio” relative alla disciplina del condono edilizio in materia di “governo del territorio”».

Per capire l’impatto in Campania del via libera alle betoniere bastano i numeri di Legambiente «In dieci anni la “Cemento Spa” ha realizzato circa 60mila case abusive, pari a oltre nove milioni di metri quadrati di superficie cementificata».

Con 838 reati accertati, la Campania guida la classifica nazionale dei reati legati al ciclo del cemento.

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Capitolo acqua. Nelle more dell’approvazione della legge sul servizio idrico integrato in Campania, la regione prevede entro 30 giorni, attraverso decreti, l’affido alle società che già operano sul territorio non solo la gestione del servizio di distribuzione ma anche la captazione e l’adduzione alla fonte, il collettamento e la depurazione delle acque reflue.

La privatizzazione è completa. L’art. 89 specifica che dovranno presentare «un piano di efficientamento di 36 mesi, alla scadenza dei quali la gestione è definitivamente affidata ai gestori». Il ministero però fa sapere che la regione non può dare il servizio a chi crede perché esistono norme statali valide su tutto il territorio nazionale. «Le disposizioni – si legge – si pongono in contrasto con quanto previsto dal d. legs 152/2006 in quanto stravolgono l’assetto delle competenze in materia».

Infine, viene costituita presso la giunta regionale la Struttura di Missione con compiti molto vasti: coordinamento dei piani regionali per l’utilizzazione dei fondi regionali, nazionali ed europei; raccordo tra amministrazione regionale e le autorità di bacino; tariffe, revisione delle concessioni e contenziosi. Un centro unico in capo alla giunta che cancella gli Ambiti territoriali (in cui siedono i sindaci).

Il ministero però chiarisce che spetta agli Ato predisporre il piano d’ambito, attraverso cui determinare la tariffa nonché «la definizione delle convenzioni per l’affidamento della gestione». Certo, gli Ato sono commissariati, ma la competenza passa agli enti locali che li compongono, certo non al governatore o alla Struttura di missione, in materia di regolazione, controllo e vigilanza.

«La nota conferma le denunce del popolo dell’acqua – commenta l’avvocato Maurizio Montalto –, il consiglio deve revocare la norma illegittima e fare propria la proposta di riordino del servizio idrico avanzata dai movimenti».