Mauro Salvador è dottore di ricerca in Culture della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano, cofondatore della rivista G|A|M|E (http://www.gamejournal.it), ideatore di giochi urbani e «serious game» col collettivo Dotventi (http://www.dotventi.it) ed autore di libri sui videogiochi. Nel suo libro appena pubblicato nella collana Cinergie di Mimesis – In gioco e fuori gioco -, ad essere oggetto della sua analisi è (come recita il sottotitolo): Il ludico nella cultura e nei media contemporanei. In questo suo ultimo saggio Salvador ripercorre teorie e concetti fondamentali dei «game studies», fornendone una prospettiva critica per mostrare come il ludico progressivamente stia colonizzando la vita quotidiana ed in particolare il lavoro.

Si parte ovviamente da Huizinga e dal suo paradigma del «cerchio magico» che separa chi gioca dalle attività non ludiche. Più di recente Bernard Suits, nel suo libro del 1978 The grasshopper: games, life and utopia, ha definito il gioco come uno sforzo volontario di superare ostacoli non necessari. Le meccaniche ludiche che comportano un impegno straordinario da parte del giocatore sia in termini di tempo sia in termini di dedizione e vero e proprio lavoro, sono state indicate da autori come Jane McGonigal (nel suo libro La realtà in gioco, o in una splendida conferenza del 2010 a TED non a caso intitolata Giocare può rendere il mondo migliore
(http://www.ted.com/talks/jane_mcgonigal_gaming_can_make_a_better_world) come strumenti in grado di migliorare le pratiche dell’istruzione scolastica e non, ma anche l’organizzazione del lavoro nelle aziende. Proprio questo aspetto è stato al centro della «tavola ottagonale» che proponeva riflessioni e proposte a lato dell’evento PLAY organizzato a Modena lo scorso anno: come «gamificare» o «ludicizzare» il lavoro per renderlo migliore per le aziende e per i lavoratori, con esempi di gamification di corsi di aggiornamento per il personale di grandi aziende nazionali.

Salvador – esaminando anche casi specifici come l’augmented reality location based multiplayer game Ingress lanciato nel 2012 da Google o Foursquare che applica dinamiche semiludiche all’esplorazione urbana – mette in luce come questo processo sempre più pervasivo sia non solo positivo, ma possa rivelare anche lati oscuri. L’applicazione al lavoro delle dinamiche ludiche certamente mette in crisi il concetto di «cerchio magico» rivelandone la «porosità» ma questo è già vero da molto tempo, da quando per lo meno è il gioco sportivo a trasformarsi in professione. Più inquietante è la possibilità di scollegare i concetti di valore e lavoro su cui si basa il capitalismo. Al lavoro che viene compiuto dal giocatore nel gioco non viene riconosciuto un valore in base alla quantità o alla qualità dello stesso, ma esclusivamente un riconoscimento intrinseco e/o virtuale legato al raggiungimento dell’obiettivo (un passaggio di livello, l’uccisione di un boss, ecc.) predisposto dal gioco stesso.

Si tratta della cosiddetta badgification, modalità sperimentata in particolare nell’istruzione, di collegare il risultato di un percorso di studi non a singole valutazioni intermedie, ma piuttosto al raggiungimento di competenze di volta in volta certificate dal rispettivo badge. Nel lavoro il badge si traduce, suggerisce Salvador, in reward, cioè in ricompensa o premio. Col rischio di diventare graziosa elargizione da parte del «principe»/datore di lavoro/organizzatore di giochi senza alcuna possibilità di contrattazione sul valore estrinseco del lavoro effettuato. In questo scenario in cui molte pratiche quotidiane ed in particolare quelle lavorative diventano gamificate o semi-ludicizzate, il merito principale del libro di Salvador è di aprire una riflessione sui possibili risvolti anche negativi di tali dinamiche.