Recessione, deflazione, disoccupazione. Con un tris di dati l’Istat disegna il profilo di un paese perduto nel giorno del consiglio dei ministri che vorrebbe farlo ripartire «con il botto». Ma le velleità dell’esecutivo vanno in direzione opposta rispetto ad una situazione economica che peggiora. Nel secondo trimestre del 2014, nel pieno delle funzioni del governo Renzi, il Pil è diminuito dello 0,2% sia rispetto al trimestre precedente, sia rispetto al semestre analogo del 2013 (a Palazzo Chigi c’era Letta). L’Italia è avviata verso un Pil negativo per il terzo anno consecutivo: -0,3% nel 2014.

Tra giugno e luglio del 2014 l’occupazione è balzata al 12,6% (era al 12,3%) e più di mille persone al giorno hanno perso il lavoro. Se a Nord gli occupati sono aumentati nell’ultimo mese (+0,3%, pari a 36 mila unità), a Sud la disoccupazione aumenta: 91 mila unità in meno. I nuovi disoccupati sono 35 mila. L’occupazione cresce di 124 mila al centro-Nord nell’industria (+2,8% rispetto al 2013), sia tra i dipendenti sia tra gli indipendenti. Prosegue, invece, per il quindicesimo trimestre, la flessione degli occupati nell’edilizia (-3,8%, -61 mila unità) e nel terziario (-0,6%, 92 mila).

Oltre a quella geografica, c’è anche la frattura generazionale. Se i giovani tra i 15 e i 34 anni e gli adulti tra i 35 e i 49 anni continuano a perdere il lavoro (rispettivamente -4% e -1,6%), l’occupazione cresce tra gli over 50 (+5,5%). Questa accade a dispetto di un rimbalzo positivo nell’occupazione dei 15-24enni: 42,9%, (-0,8%), ma in aumento di 2,9 punti in un anno.
Un altro dato molto importante è quello sulla tipologia dei contratti. Bisogna fare attenzione perché su questo Renzi sta operando un’aggressiva operazione propagandistica per dimostrare che la presunta efficacia delle sue ricette. Dopo avere precarizzato i contratti a termine eliminando la «causale», con norme anti-costituzionali e contrarie alla direttiva europea 70/1999, questi contratti sono effettivamente cresciuti.

Per l’Istat gli occupati a tempo parziale sono aumentati nel terzo trimestre di 75 mila unità (+1,9%). Crescono anche i dipendenti a termine, dopo cinque trimestri consecutivi di calo, mentre calano i collaboratori di 36 mila unità. Ma a fine anno le statistiche rischiano di essere diverse a causa delle cessazioni. Il governo sta giocando le sue carte sulla breve durata e spera che ci siano i rinnovi. Esiste invece la possibilità, favorita dalla riforma Poletti, dei licenziamenti (o meglio, del non rinnovo). Scelte di corto respiro in cui il governo crede (come quelli precedenti). E non importa la qualità del lavoro, meglio uno pessimo oggi che il nulla. Questa visione pauperistica del mercato del lavoro alligna ovunque, sindacati compresi.

E in più ispira le pose da incompreso dello stesso premier: «Qualcuno poi si è accorto che nell’ultimo mese c’è stato un aumento di oltre 50 mila posti di lavoro? – ha detto Renzi – No, perché, com’è naturale, fa notizia l’albero che cade e non la foresta che cresce». Alla luce dell’andamento del mercato del lavoro, la foresta cresciuta verrà presto disboscata. Non per volontà di un cieco destino baro, ma per espressa volontà dell’esecutivo ispirato alla visione liberista delle «porte girevoli»: si esce dalla disoccupazione per rientrarci, dopo brevi periodi di lavoro precario che contano solo per le statistiche.

Il governo, pressato dalla Bce di Draghi, insisterà su questo segmento dei contratti, auspicando anche la riduzione dell’inattività. Cosa che sta accadendo: a giugno gli inattivi tra i 15 e i 64 anni erano diminuiti di 151 mila unità. Sono stati gli anziani ad «attivarsi» e non i giovani. Donne, in otto casi su dieci, che restano sempre più disoccupate rispetto agli uomini: 46,5%. Praticamente una su due non lavora, ma è assolutamente precaria. L’ultima frattura che emerge nel mondo della disoccupazione strutturale e di lunga durata in Italia è quella tra lavoratori italiani e stranieri. Alla diminuzione della prima di 105 mila unità corrisponde la crescita di quella straniera di 91 mila (+0,6%).

In un paese dolente per le fratture geografiche, generazionali, di nazionalità e tra i sessi si afferma anche la deflazione per la prima volta dal settembre 1959, quando la variazione dei prezzi risultò negativa dell’1,1%. In una fase caratterizzata da 7 mesi di tassi negativi. Oggi i prezzi stanno scendendo da 4 mesi consecutivi. È la componente energetica, in particolare quella legata al costo dei carburanti, a pesare sui prezzi di agosto e a trascinare l’indice in negativo. Secondo i dati provvisori dell’Istat, i prezzi sono diminuiti dell’1,2% rispetto al 2013 (dal +0,4% di luglio), con la benzina in calo dello 0,9% e il gasolio dell’1,7%. I prezzi che sono saliti di più sono quelli dei trasporti (+3,8%), mentre scendono (deflazione) in tre settori alimentari su dodici: alimentare (-0,5%), comunicazioni (-9,1%) e abitazione, acqua, elettricità e combustibili (-1,1%) come avviene da tempo.