«Oggi saremo in piazza anche per Elisabeth, la donna peruviana assassinata a Monza», dice al manifesto Luz Miriam Jaramillo, portavoce del Comitato immigrati autorganizzati.

Che cos’è il Comitato e chi rappresenta?
Siamo oltre 13 comunità, a livello nazionale: donne e uomini dello Sri Lanka, del Bangladesh, delle Filippine, dell’Africa, del Medioriente e del Latinoamerica. Ci battiamo per i nostri diritti di lavoratrici e lavoratori stranieri, per la cittadinanza dei figli. Io sono colombiana, sono in Italia da oltre 20 anni. Sono andata via per motivi economici, in un primo tempo mi sono trasferita in Ecuador, ma prima del governo Correa le condizioni erano molto difficili. Sono lavoratrice domestica, altri di noi compiono lavori di fatica, in condizioni di ricatto o di estrema precarietà. Durante l’anno, alla giornata di lavoro segue spesso l’impegno comune. Tutti gli 8 marzo organizziamo un’intera giornata di riflessione e cultura, che a Roma si svolge alla Casa del Popolo di Tor Pignattara.

Perché sarete in piazza oggi?
Dopo il femminicidio di Elisabeth, a Monza, abbiamo raddoppiato l’appello alle migranti affinché vengano in piazza oggi: se toccano una, toccano tutte. E’ importante ricreare un tessuto comune di resistenza. Se le donne delle classi popolari subiscono un doppio sfruttamento, per noi migranti se ne deve aggiungere un terzo, dovuto alla particolare vulnerabilità a cui siamo esposte: anche per via del rapporto di lavoro «servile», più ricattabile. E per via del razzismo, sempre crescente, purtroppo.

Il 52% delle vittime del conflitto armato in Colombia è costituito da donne. Come vive le vicende del suo paese, impegnato in una difficile trattativa per la soluzione politica?
Seguo da vicino il processo di pace in Colombia e partecipo alle vicende politiche del mio paese. Le donne sono state protagoniste dei tavoli dell’Avana, centrali nelle politiche di riparazione comunitaria nelle zone rurali e non solo. Non siamo vittime. Nella violenza di genere, in Colombia come in ogni parte del mondo c’è una responsabilità dello stato. Lo sciopero delle donne, che di recente si è messo in moto in Argentina e che ha coinvolto le donne di tutti i continenti ha messo in moto una nuova energia. Il ruolo delle donne come mediatrici nei conflitti, è fondamentale in America latina. Il processo di pace in Colombia è stato avviato anche grazie alla caparbietà di donne come la senatrice Piedad Cordoba: che ha fatto rete con le donne venezuelane e ha trovato ascolto in un grande mediatore come Hugo Chavez, che si è sempre definito femminista. Recentemente, al V Incontro nazionale della rete Caracas Chiama le donne filippine hanno parlato del processo di pace in corso nel loro paese. Ora speriamo si possa avviare anche in Perù, dove le prigioniere politiche sono in carcere da oltre trent’anni, subiscono torture e nuovi mandati di cattura, benché abbiamo oltre ottant’anni.