«Noi vogliamo far rientrare i cittadini in partita con le preferenze e con il Senato elettivo. Basta eliminare l’alibi a Renzi. Ha detto che poteva fare le riforme solo con Berlusconi, ora non è così». Quello di Luigi Di Maio al Tg1 ha il tono di una polemica, ma è quasi un appello accorato. Il vicepresidente della Camera, capofila delle colombe grilline, si affanna a spiegare che tutto il movimento ha «un obiettivo comune: fare una legge elettorale migliore. Noi non vogliamo che i condannati non possano entrare in Parlamento. Vorremmo sapere cosa ne pensa il Pd».

Ma in realtà nel derby interno falchi-colombe, la giornata di ieri ha segnato un gol per il muro contro muro con il Pd. Complice l’accelerazione del governo sulla riforma del senato, che da lunedì sarà in aula a palazzo Madama e dovrebbe ingranare la quarta marcia. La determinazione – almeno a parole – di Matteo Renzi ha prodotto un cambio di umore anche nel movimento 5 stelle. Dal fronte Pd non arriva la relica alle famose «risposte scritte», e le voci di corridoio parlano di una nuova convoicazione del tavolo rinviata a dopo l’approvazione del nuovo senato. Umiliata così l’ala dialogante, i grillini irriducibili riprendono fiato e annunciano l’ostruzionismo dentro il palazzo. E si preparano alla prova della piazza. Ne hanno parlato alla lunga assemblea congiunta di deputati e senatore, giovedì scorso, dove è stato abbozzato un piano di azioni da adottare per fare «arrivare ai cittadini» il messaggio sulle riforme. Il tema è tornato ieri a Milano, alla riunione dello stato maggiore del movimento. L’avanguardia dei falchi parlamentari ragiona su una manifestazione a Roma, guidata da Beppe Grillo e fiancheggiata da artisti, intellettuali, «professori» e studenti universitari. Ma la nuova fase «di lotta» metterebbe una pietra sulla fase «di governo» fin qua capitanata da Di Maio. Per dare man forte a quest’area, contro l’asse trattativista, martedì o mercoledì Beppe Grillo calerà a Roma, come ha ammesso lui stesso ieri da Porto Cervo. Nei piani dei suoi più vicini, dovrebbe tirare la volata alla mobilitazione. E caricare gli anti-Pd.

Dal quale del resto non arrivano segnali incoraggianti. Ieri persino Laura Puppato, ex amica del movimento, proveniente dall’area Civati che ha tenuto i fili del dialogo nei periodi più bui, ha dichiarato il suo cambio di verso al sito Intelligonews: «Con M5S nel corso di questo anno c’è stata una caduta di stile e da parte mia c’è stata più di una delusione: è inutile rinvangare il passato, sappiamo tutti come sono andate le cose. La novità era l’apertura di Di Maio che ha fatto sperare molti di noi che si potesse aprire un tempo diverso e semplicemente la possibilità di un colloquio politico corretto, finalizzato a obiettivi chiari, come peraltro accaduto col centrodestra». Invece niente: «Il quadro non è ancora chiaro, le attese sono quelle di un ostruzionismo, un tornare sulle barricate».

Dalle barricate, almeno quelle costruite a parole, viene la notizia di una lettera inviata al Consiglio d’Europa dai deputati Di Stefano e Spadoni e dai senatori Catalfo e Santangelo contro «la concessione dell’immunità anche per l’eventuale Senato non elettivo» descritta come «una minaccia immensa per il nostro paese». I quattro invitano il consiglio a «farsi promotore della tenuta democratica» dell’Italia e promettono che il M5S «non permetterà» il suo sgretolamento. Come in altri casi, si tratta di un’idea non proprio grillina doc. Nella sinistra radicale da qualche settimana circola la proposta – lanciata in una riunione pubblica della lista Tsipras – di un appello europeo contro la «torsione autoritaria» delle riforme Renzi. Un appello difficile da scrivere, visto che la concentrazione dei poteri nelle mani del capo del governo è moneta corrente nei sistemi europei. Certo: con ben altri contrappesi rispetto a quelli disegnati dal combinato disposto nuovo senato-Italicum. Ma non sarà facile spiegarlo ai partner dell’Unione.