L’espediente retorico non sarà dei più raffinati ma, comunque la si pensi, è difficile dare torto a Roberta Lombardi. La deputata del Movimento 5 Stelle che ha firmato la proposta di legge per dimezzare l’indennità dei parlamentari discussa ieri alla Camera invita i suoi colleghi ad andare a fare un sondaggio personale, recandosi in un bar qualsiasi per sottoporre agli astanti una valutazione dei propri compensi.

Il confronto sui costi della politica andato in scena in un’aula parlamentare mezza vuota fornisce la rappresentazione del livello del dibattito in corso tra le due principali forze politiche del paese. Da una parte il M5S che chiede parola al gran completo, chiamato a raccolta attorno a uno dei suoi temi fondativi. Dall’altra la maggioranza, Pd in testa, che non pare molto in disaccordo sul merito. Più che altro i renziani sono impegnati a dimostrare come il vero taglio dei costi della politica sia stato già compiuto con l’azzeramento del finanziamento pubblico ai partiti. La ciliegina sulla torta, dicono, arriverà grazie alla riforma costituzionale Renzi-Boschi, con il risparmio degli stipendi ai senatori.

Le parti sventolano le cifre dell’assenteismo, che vorrebbero i deputati del M5S meno presenti di quelli del Pd in aula. Il campione è il fittiano Rocco Palese, che rivendica il lavoro svolto fino ad ora sfoggiando sotto la giacca una t-shirt bianca col numero percentuale delle sue presenze in Parlamento: «99,19%». Ma con siffatto tema all’ordine del giorno, i grillini hanno buon gioco. Anche Luigi Di Maio, che pure è al centro di polemiche, attaccato da una fronda di grillini a causa delle spese sostenute in questi anni, si rivolge a Matteo Renzi: «La nostra legge funziona, lo abbiamo testato su noi stessi, venga in aula e dica al suo partito di votare sì». Gli fa eco Alessandro Di Battista: «Le chiacchiere stanno a zero: il Pd è d’accordo a dimezzarsi gli stipendi e spendere tutto ciò che dovete per l’attività politica, senza restrizioni, però rendicontando e restituendo ai cittadini tutto ciò che non spendete?». La prima firmataria Lombardi spiega: «Il nostro progetto ricalca il nostro regolamento interno: dimezzare le indennità da 10 mila euro a 5 mila e rendicontare le spese».

Per Emanuele Fiano del Pd è proprio il modello pentastellato che non funziona. I grillini avevano promesso di ridursi la paga e non mettersi in tasca più di 2500 euro. Dopo dibattiti interni, sofferenze (ed espulsioni) ne trattengono mediamente di più e sono accusati di controbilanciare quel taglio con un uso «molto disinvolto» dei rimborsi e della diaria. «Come avete rendicontato le spese in questi anni? Abbiamo visto rimborsi per affitti da diecimila euro al mese, dodicimila euro di taxi all’anno, 3840 euro di viaggi. C’è un parlamentare che rivendica sempre esattamente 3123 euro ogni quattro mesi per gli spostamenti». E ancora: «La paga del parlamentare non può essere attrattiva solo per qualche studente universitario fuori corso, deve essere sufficiente anche per chi lascia un lavoro per fare politica e paragonata a quella di altre alte cariche», punzecchiano ancora dalla maggioranza.

In mezzo ai due fuochi, per Sinistra italiana parla Alfredo D’Attorre. Riconosce che in tempi di crisi la discussione sulla paga dei parlamentari è da affrontare, ma fa notare ai colleghi del M5S come «in questi anni la campagna anti-casta sia stata alimentata da corposi interessi economici per spostare l’attenzione da banche e finanza». Per D’Attorre, la politica è «bersaglio facile» le cui debolezze si fondano «su elementi oggettivi che chi vuole difendere il Parlamento deve riconoscere». «È poco comprensibile la posizione di Renzi – dice ancora – Se si cambiano 47 articoli della Costituzione mettendo al centro il tema dei costi della politica poi non ci può sottrarre a questo dibattito. Si descrive il Parlamento come impaccio invece bisogna ridare centralità al Parlamento, non limitarsi prendere atto del suo svuotamento». Si vota oggi. I 5S danno appuntamento dalle 15 davanti a Montecitorio.