I vecchi cinema non vanno in paradiso. Se aprivano i battenti delle loro porte sulle strade del centro cittadino, sono sprofondati nel girone infernale delle riconversioni: centri commerciali con qualche pretesa, sedi di compagnie di assicurazioni, show room di griffe della moda, grandi magazzini per marchi internazionali dell’apparire a prezzi stracciati. Se, invece, il proiettore girava i suoi rulli in periferia, è finito, insieme ai sedili in legno e alla tela dello schermo, nel girone degli abbattimenti per far posto a una lottizzazione edilizia, delle speculazioni, delle trasformazioni in punto scommesse Snai o sala bingo, degli scontri in tribunale tra chi vorrebbe difenderli e chi specularci su. Prendete tre grandi città. A Milano, in ordine di età, sono scomparsi o sono stati condannati, fra i tanti, il Corso (1926), l’Excelsior (1928), l’Astra (1941) diventato gran bazar di una multinazionale spagnola di abbigliamento e accessori per la casa, l’Ariston e il Mignon (1945), il Durini (1955), l’Ambasciatori (1956), il Cavour (1962). Ultima vittima il Manzoni, in via Manzoni 40, aperto nel 1947 e firmato da Mario Cavallé, cui si devono 136 sale in Europa e l’Astra a Milano. A Torino è bruciato in un incendio per fortuna senza vittime, il Corso di corso Vittorio Emanuele, nel 1980. Oggi ospita una compagnia assicurativa. Quando lo disegnò Vittorio Bonadè Bottino, maestro dell’Art Déco sabauda, era il 1926. Si chiamava Palazzo, aveva gli ascensori e poteva accogliere duemila persone. In occasione di grandi film, il pubblico, all’ingresso entrava dentro una scenografia in tema, come nel caso di Ventimila leghe sotto i mari, produzione Walt Disney, 1954. La copertura dell’Astor, costruito nel 1946 sulle ceneri del precedente Sabaudo, poteva spalancarsi. Con la bella stagione, gli spettatori avevano per tetto il le stelle dello spazio insieme alle stelle di Hollywood. Chiuse nel 1983, cinque anni dopo fu destinato ad altro uso. Identica sorte e anno per l’Ariston nella centralissima via Lagrange. Data di nascita 1948, capienza quasi settecento spettatori. Il centro di Roma ha subito la recente mutilazione del Metropolitan in via del Corso. L’Etoile di piazza San Lorenzo in Lucina, dopo una serie di effimeri e inutili riutilizzi, è da due anni il santuario di una superstar del vestire Made in Italy. Ai tempi d’oro, nonostante fosse una sala di seconda visione, programmava titoli quali Il buio oltre la siepe e Tenera è la notte. Pellicole da cinema d’essai. Se ne sono andati l’Aurora in via dell’Umiltà e l’Orfeo di via Depretis. Ma il patrimonio romano dei cinema storici si è estinto, o meglio è stato estinto, anche in altri quartieri: il Mondiale di viale Libia, il Rex di corso Trieste, l’Adriacine in via del Forte Trionfale. Le macerie, gli stravolgimenti, le chiusure a tempo indeterminato hanno seppellito un’immensa e collettiva fabbrica dei sogni. Nella platea dei cinema più eleganti le signore e i signori si vestivano come per andare a teatro. In galleria era confinato chi aveva pochi soldi. Nei cinema popolari il fumo delle sigarette volava in alto insieme a commenti e battute di vario genere, le più grevi rivolte dal pubblico maschile alle attrici. Le sedie in legno scricchiolavano sempre, con maggior intensità nelle ultime file, rifugio delle coppiette in cerca del buio. Durante l’intervallo passava, cassetta a tracolla, l’uomo che vendeva tavolette di cioccolato surrogato, bibite troppo colorate, biscotti dal dubbio sapore. E i bambini, vedendolo, usavano l’arma ricattatoria dei capricci nei confronti di mamma e papà. Nella provincia italiana l’inferno è diventato limbo, senza che questo abbia significato una miglior situazione. I vecchi cinema, per buona parte, li puoi vedere ancora. Ed è vista che suscita pena. Porte sbarrate o murate, insegne penzolanti, muri scrostati, interni ridotti a depositi o lasciati andare senza curarsi di preservare i tanti pezzi d’epoca, macchinari arrugginiti. A volte sono edifici anonimi, che però rappresentavano per la gente di un paese o di una cittadina il vero momento di socialità, l’occasione per scambiarsi occhiate amorose e sussurrare pettegolezzi, novanta minuti di fantasia in una vita di lavoro e di riti sempre uguali. Altre volte sono edifici con una solida storia architettonica e culturale alle spalle, disgregati dalla mancanza di soldi pubblici o dall’inerzia.

Alla ricerca dei cinema perduti di provincia è andato Umberto Giupponi, studente del Politecnico di Milano, poco più che ventenne. Lo ha fatto partecipando in prima persona a un progetto, Old Cinema, di cui raccontiamo nel box a parte in queste pagine. Mezzo di locomozione Bianca, una Vespa 50 Special 1972, tre marce, rimessa a nuovo dieci anni fa. Velocità media di crociera quarantacinque chilometri l’ora. Buongiorno, Umberto. Giupponi ha bell’aspetto, pc portatile nella borsa, eleganza informale, modi che rivelano ottima educazione familiare. Fai qualche fatica a immaginartelo mentre ballonzola su Bianca per chilometri e chilometri, sotto il sole e la pioggia dell’estate. A proposito, Umberto: quanti chilometri esattamente? «Sono partito da Codevigo (provincia di Padova, ndr) e sono arrivato a San Cataldo, Lecce, lungo la Dorsale Adriatica. Le tappe sono state organizzate soltanto per l’andata, una settimana. Grazie al passaparola dei miei compagni di studio, ho dormito a casa di loro amici. Oppure ospitato da gente che conoscevo, o incontravo nel corso del viaggio. La media giornaliera, salvo imprevisti climatici o di altro genere, era di 130 chilometri al giorno. Man mano che andavo verso Sud, mangiavo sempre meglio. Fattore che, lo confesso, in alcuni casi ha accorciato le tappe. La più lunga è stata di 220 chilometri, sette ore, su un totale di 2300». Domanda d’obbligo la nascita dell’idea «Ero all’estero per uno scambio Erasmus, e lì gli esami finivano in anticipo rispetto all’università di Milano. Avevo, quindi, del tempo a disposizione prima di ricominciare. Decisi di coronare un sogno: fare un viaggio in Vespa e in solitaria attraverso l’Italia o da qualche altra parte. L’incontro con Old Cinema univa al viaggio su due ruote l’altra mia grande passione, il cinema». Andare in cerca dei cinema abbandonati aggiunge all’itinerario di Umberto il colore dell’avventura e il sapore della scoperta. Mediati, in parte, dalla partecipazione virtuale di altre persone. La presenza, sul casco del pilota e sulla Vespa, di un Qrcode, il codice che, fotografato con lo smartphone, permette di acquisire informazioni, portava a connettersi alla specifica pagina facebook sull’evento, e da lì inviare segnalazioni e materiali utili. Ma il prode Giupponi, durante il suo on the road, fa incontri anche sul campo, e conteranno molto. Viene consigliato, ospitato, ascolta aneddoti e stralci di vita, favorito dalla curiosità che suscita quella strana Vespa, dalla ragione in nome della quale sta mordendo l’asfalto e il terreno irregolare di tante strade secondarie «I cinema che sono andato a cercare, ma soprattutto che ho scoperto grazie alle indicazioni delle persone del posto, riflettevano un modo di vivere tutt’ora profondamente diverso dal modo di vivere del mio territorio, la provincia di Padova. La ‘non velocità’ del mezzo mi ha consentito di percepire i cambiamenti chilometro dopo chilometro, paese dopo paese, soprattutto a Sud: i colori della terra, le voci dei dialetti, l’isolamento di piccolissimi nuclei dalla zona cui appartengono. E, all’opposto, la facilità del rapporto. A Casacalenda (Molise, ndr), in meno di due ore, ero già parte di un gruppo di ragazzi. Nel mio Nord è una cosa se non impensabile, certo molto più difficile. In queste realtà i cinema sopravvivono quantomeno come edifici. Altrove, molto più su nella carta geografica dell’Italia, sono stati rasi al suolo o totalmente soppiantati dalle multisale». La strategia di Umberto è semplice. All’arrivo in un posto, identifica la tipologia di abitante che può fornirgli informazioni certe. E chi, meglio degli anziani? I settantenni, gli ottantenni sanno dove sta consumando la sua lunghissima agonia un vecchio cinema; ricordano nomi e indirizzi dei tanti che non ci sono più «Dopo tre o quattro giorni di viaggio, mi sono fermato a Jesi, dove mi hanno indicato una sala in disuso, il Politeama Astra. Trovare una delle quattro porte principali aperta, ha dato in un attimo un significato totalmente diverso, il vero significato, al mio viaggio». Metri e metri di pellicola srotolata, per terra e nella cabina di proiezione; stucchi polverizzati, il palco ridotto a uno scheletro, lo schermo di un vecchio computer dietro la biglietteria all’ingresso. Fuori dal Politeama ti aspetteresti di trovare una città morta del vecchio West.

Lo studente d’ingegneria mette da parte la razionalità per raccontare con parole semplici quello che ha provato «Banalmente, mi sono trovato davanti a qualcosa che c’era e non c’è più; qualcosa che comunicava emozioni, faceva incontrare la gente. Al suo posto, oggi, soltanto un grande vuoto». Ogni vecchio cinema si porta dietro una storia, che la memoria di coloro che lo frequentavano conserva intatta. Peppino, a Casacalenda, è stato uno dei cantastorie «Lui ricordava alla perfezione il cinema del paese, che prima era un teatro di fine ’700, e ciò che aveva significato per la comunità di Casacalenda. Dopo la fine dell’ultima guerra, il cinema era il posto dove tutti cercavano un po’di svago, dove rimanevano provvisoriamente fuori la miseria e le difficoltà. Si guardava il grande schermo, ma durante le feste arrivavano a suonare sul palco le bande e le orchestre. Dopo il film nascevano le discussioni e i pareri, che presto sconfinavano su terreni al film del tutto estranei». Peppino, al cinema ci andava tutti i giorni. Si nutriva di Ladri di Biciclette e di Ben Hur, ha ben impressa negli occhi Gina Lollobrigida, forse la Bersagliera di Pane, amore e fantasia, e i commenti degli uomini quando un’inquadratura ne mostrava le gambe. Altri luoghi, altri abbandoni. Apricena, provincia di Foggia. Il cinema del paese ha una storia significativa. Nato come officina del bisnonno dell’attuale proprietario, è il bisnonno stesso a farne una sala cinematografica, per due generazioni. Dopo il 2005 entra in crisi, nonostante un bacino potenziale di cinquantamila persone sul territorio. Chiude per mancanza di pubblico, chiude perché il modo di andare al cinema è cambiato. E lo sa bene il giovane Umberto «Poltrone comode, ottima acustica, impianto sonoro e video di qualità. Ma sempre meno spettatori. Computer, tablet, smartphone danno la possibilità di guardare un film quando si vuole, senza orari e ovunque. I giovani, credo, preferiscono condividere spazi interattivi. Il cinema non lo è. Il primo giorno di viaggio ero arrivato a Bologna, ospite di un’amica. Una stanza della casa era… una sala con tanto di telo e proiettore. Mi sono detto ‘Forse sto facendo qualcosa di sbagliato!’ Sempre a Casacalenda ho parlato con un ragazzo che si occupa della rassegna Molisecinema e studia regia. Mi diceva che lui pensa a un film guardando ai media di oggi. Il suo fine non è più il grande schermo. Durante qualche tappa, ho chiesto a miei coetanei dove fosse una volta il cinema del paese. Nessuno ha saputo rispondermi. Penso che il futuro delle sale dismesse sia diventare centri polifuzionali, favoriti dalla collocazione comunque e sempre centrale e dall’ampiezza degli spazi». Tappa che fai, abbandono che trovi. Graffiti di nessun pregio deturpano la facciata dell’Embassy di Bologna. Una rete di tubi Innocenti sostiene le crepe del Teatro Sociale di Finale Emilia. A Zapponeta una fila di colonne vagamente neoclassiche sormonta le saracinesche del Francavilla, dietro cui si accumula spazzatura. A Larino, la platea e la galleria del Cineteatro sembrano pronte ad accogliere un pubblico che invece non entrerà più. E sempre a Larino, chi mai potrebbe pensare che al posto di una casa ci fosse la prima sala del paese? L’Acquaviva di Mosciano, il Supercinema di Trani, l’Arena di Nonantola somigliano a relitti arenati sulle spiagge del pubblico e privato abbandono. Ogni viaggio è un Grand Tour, non importa l’epoca, non importa quali siano le strade scelte. Lo è stato anche quello del futuro ingegnere, dell’appassionato di Vespa e di cinema Umberto Giupponi? «L’obbiettivo era quello di cercare un Old Cinema, di trovarlo, di arrivarci davanti. E questo, forse senza che me ne accorgessi, mi ha portato fuori dal sentire quotidiano dei giovani della mia età. Allora mi sono trovato a riflettere su cosa significhino per noi i cambiamenti nel modo di comunicare, l’impiego più disarticolato e meno completo dei nostri momenti liberi. Mi capita di andare al cinema con un gruppo di dieci persone, mai che tutti vogliano vedere lo stesso film. Ci si divide all’ingresso e ci si ritrova fuori a spettacolo finito. Guardando al viaggio che ho fatto, alle testimonianze, agli incontri, ai discorsi, ho sentito un divario enorme tra la socializzazioni di ieri e quella di oggi». Nuovo Cinema Paradiso, ritorno al paese di origine e all’infanzia, e Che ne sarà di noi, transito dalla maturità scolastica verso la maturità, sono tra i film che Umberto vorrebbe vedere dentro una sala tornata a vivere. Che ne sarà di noi è la domanda muta dei vecchi cinema. Nuovo cinema paradiso una promessa per ora molto difficile da mantenere.

BOX OLD CINEMA

I dati della Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinema) suonano inquietanti. Tra il 2001 e gli inizi del 2012, hanno chiuso i battenti 761 monosale italiane. In tutto, le sale che hanno cessato l’attività ammontano a 889. Altre centinaia devono affrontare serie difficoltà di carattere economico a causa della digitalizzazione, obbligatoria entro il 2014. In tale, drammatico, contesto si inserisce l’attività della Old Cinema, progetto a di dimensione nazionale, nato a Milano con l’obbiettivo di costruire una mappa dei ‘cinema perduti’ e documentarne storia, stato attuale, possibilità di recupero. Un’idea e insieme «Un vero e proprio allarme sul rischio di perdere un patrimonio culturale e cinematografico che va invece recuperato e valorizzato. Il progetto, che ha l’adesione di Giuseppe Tornatore, è alla ricerca di cinema dormienti, trasformati, scomparsi: un immenso patrimonio, ad oggi sommerso e frammentato». Creato e fondato da Ambra Craighero, Old Cinema punta a riconnotare 20 sale, una per regione, riqualificandole come incubatori culturali. La sua funzione di start up e di acceleratore per privati e istituzioni, soprattutto i Comuni dove sono presenti sale abbandonate, si articola in contenuti mirati a produzioni video, sviluppo e organizzazione di eventi, progetti didattici per le scuole primarie e secondarie; ideazione di contenuti e sviluppo di format integrati all’hi-tech e al web, con particolare attenzione ai giovani della generazione web 2.0. Old Cinema Social è un’altra e nuova strada del progetto che, con l’ingresso nei social network, mira ad allargare il proprio campo d’azione grazie alla raccolta di segnalazioni e al coinvolgimento del popolo web. Presentato al Festival di Venezia 2013, Old Cinema Social ha fatto partire la caccia agli Old Cinemas. Postando foto, video, informazioni sui cinema chiusi della propria città, si entra a far parte del team ‘Ricercatori delle sale perdute’. Il viaggio di Umberto Giupponi ha percorso questa strada che, nel suo caso, è stata più reale che virtuale. Ecco tutti i riferimenti per saperne di più e decidere se diventare un Indiana Jones fuori dal grande schermo, ma schierato dalla sua parte. Ambra Criaghero, tel. 347/2538183, ambra.craighero@gmail.com; http://www.oldcinema.it, https://www.facebook.com/oldcinema?ref=hl per postare foto e segnalazioni.