Cosa è un confine? Quali territori delimita o slabbra? Chi e che cosa definiscono il limite? A queste questioni, così contingenti, tenta di trovare una risposta l’artista Valerio Rocco Orlando (Milano, 1978) nella mostra Portami al Confine, al museo Musma di Matera, promossa dalla Fondazione Zetema e curata del neo direttore Tommaso Strinati. Il dispositivo operativo e concettuale che l’artista invera per sviluppare il progetto e dar forma alla mostra è ellittico ed è pensato fino al minimo dettaglio.

NASCE IN UN LUOGO fortemente contrassegnato come quello di Matera e si insinua come un lucido pensiero rizomatico che attinge e penetra il territorio ma lo trasferisce in una riflessione contemporanea sulla dimensione del reale. Nell’iter progettuale, Valerio Rocco Orlando allinea una dopo l’altra le tematiche stringenti di accoglienza, tolleranza e sostenibilità (concetti che hanno fatto sì che l’Unione Europea scegliesse la città di Matera come capitale della cultura 2019) e le connette a un’idea così articolata di confine. Tale concetto è, in questo caso, mobile: metaforico, intimo e/o fisico. Una nostra proiezione simbolica o una nostra dimensione territoriale e che l’artista tenta di ricucire attraverso la condivisione con la comunità materana e non solo.

Attraverso una pratica partecipativa che Orlando attiva con una lettera pubblica (formato poster) e dei bellissimi manifesti affissi nella città (graficamente realizzati dallo studio Dallas – Francesco Valtolina e Kevin Pedron) l’interazione tra arte e territorio si intesse durante i mesi della durata della mostra (fino al 28 febbraio 2017). La lettera che Orlando scrive alla cittadinanza si ispira alla celebre Lettera ai Materani che Pietro Consagra pubblicò nel 1978 in cui sollecitava gli abitanti di Matera a rivolgersi per il risanamento dei Sassi proprio agli artisti.

La disseminazione dei mille poster giallo fluo sconfinano nel contesto urbano e danno l’input ad un feedback pubblico. Per configurare l’idea di confine l’artista ha instaurato una connessione con varie cooperative del luogo (in primis il Sicomoro che si occupa di anziani, disabili e rifugiati) e il Brancaccio che è una casa di riposo. Ogni partecipante coinvolto porterà al confine (individuale) l’artista che documenterà in un video le varie location, i vari racconti, le memorie, i desideri, le aspettative. Una concatenazione di soggettività che si condenserà in un unico punto in cui convergono pluralità (di pensiero, classe, religione, razza, gender). Un essere singolare plurale direbbe Jean Luc Nancy. Un io plurale che ribalta l’edificazione fisica e culturale di apartheid come Calais.

ALL’INTERNO DEL MUSMA, insediato nel Sasso caveoso della città, Orlando ha pensato a tre lavori inseriti in due sale museali che assurgono all’idea di cantiere e dunque all’idea del work in progress. Lo spazio perimetrato da Orlando, quasi radioattivo, innescato da una illuminazione rossa psichedelica, contiene tre oggetti alieni quasi feticci, che raccordano l’intero progetto. Il neon rosso Portami al Confine, che conserva la grafia del primo cittadino partecipante all’operazione, è calamitato a parete nella prima sala dove è collocato il secondo lavoro, il tavolo-bacheca disegnato dall’artista su cui è posta la documentazione (in progress) del progetto: ritagli di quotidiani d’epoca, documenti del circolo della Scaletta (storico circolo culturale di Matera), eccetera. Una pila di poster gialli (da portare a casa) è posta al centro della seconda sala, una scatola cubica fluo. Le opere prodotte dal museo faranno parte della collezione permanente.