Venti milioni di turisti. O trenta? Chissà. Come ogni discorso di natura totalitaria, anche la propaganda dell’Expo ha sempre utilizzato la potenza evocativa dei numeri per comunicare la fiducia quasi religiosa nella logica del grande evento che rilancia l’economia del paese.

I numeri non si discutono. Come non si è mai potuto discutere dell’esposizione universale che si terrà a Milano dal 1 maggio al 31 ottobre del 2015. Quasi nulla hanno potuto le poche voci contro e il lavoro di contro inchiesta dei comitati no Expo, se non impedire i lavori di qualche opera di non fondamentale importanza (le “vie d’acqua” finite nel mirino della magistratura). E anche gli arresti, le aziende in odore di mafia escluse dai lavori, le tangenti per corruzione, i manager indagati e le infiltrazioni della criminalità sono stati vissuti come prevedibili incidenti di percorso. Niente e nessuno ha potuto ostacolare la macchina dell’Expo, nemmeno Raffaele Cantone, il magistrato dell’anti corruzione arrivato a dettare legge quando quasi tutti gli appalti erano già stati assegnati. È probabile che la magistratura si rimetterà in moto quando calerà il sipario.

Mancano 133 giorni all’apertura. Vediamo questi numeri magici Partecipano 148 paesi (9 cluster sono destinati ad accogliere gli altri paesi), sono 3 le organizzazioni internazionali coinvolte (Onu/Fao, Ue e Cern). La superficie dello spazio espositivo nell’area Rho-Pero misura circa 1 milione di mq. I padiglioni, che stanno spuntando in questi giorni, sono 53 (a Shanghai erano 42). 5 aree tematiche sono dedicate al cibo del futuro, ai bambini, alla biodiversità e alle arti dedicate al cibo. Le Ong e le associazioni hanno a loro disposizione un cascina ristrutturata. Il progetto iniziale indica un’area verde di 200 mila mq con 12 mila alberi. L’Italia ha investito circa 4 miliardi, gli altri paesi uno. Si calcola che entro la fine dell’anno saranno stati venduti 7,5 milioni di biglietti (32 euro l’uno, con possibilità di riduzioni). Sono 1.200 le aziende coinvolte nella fornitura dei servizi. Sono 1.300 gli operai che stanno lavorando venti ore al giorno. Le cifre più scivolose della propaganda però riguardano l’indotto e la creazione di posti di lavoro, tant’è che di numeri ne sono stati dati fin troppi, alcuni già smentiti dalla realtà: la Bocconi diceva 25 miliardi di euro e 200 mila posti di lavoro entro il 2020. Fantascienza.

Le vere ricadute sul territorio e sull’economia si potranno valutare solo a manifestazione conclusa. Ma è vero che a Milano qualcosa è già cambiato. Una colata di cemento, certo. Ma non solo. La città è un cantiere aperto e in vista dell’Expo si sta rifacendo il trucco con esiti altalenanti. C’è chi si lamenta, chi protesta, ma tutto sommato ai milanesi piace così. La piazza Gae Aulenti, in zona Isola-Garibaldi è una nuova piazza vera, frequentata e popolare. L’area intorno al Castello è in via di sistemazione, vorrebbero ripittarla di bianco con un tocco natalizio che forse a maggio farà sorridere, anche se ci vorrà un miracolo per limitare l’impatto dell’orrenda struttura chiamata Expo Gate (forse la smonteranno). La Darsena è stata ripulita, i navigli pettinati. Negli angoli più improbabili, anche lontano dal centro storico, spuntano cartelli esplicativi per turisti. Il grattacielo Bosco verticale è stato premiato come edificio più bello del mondo (mentre nei caseggiati screpolati delle periferie vengono sgomberate cinque famiglie al giorno). Poi il cibo, ovunque. Non c’è evento, mostra, laboratorio per bambini, convegno, presentazione di libri, pubblicazione, area tematica, mercatino, evento collaterale che non abbia a che fare in qualche modo con la gastronomia. Non solo a Milano (a Modena, per esempio, ci sono 44 eventi collegati all’Expo). Presto suonerà la sveglia per tutti, ma molti oggi stanno sognando di realizzarsi attraverso la ristorazione. Aprono bar, bistrot, punti ristoro, corsi per gourmet, negozi per adepti del food declinato in tutte le salse. Si chiacchiera amabilmente della pasta madre e della colatura di alici. L’indigestione è assicurata.

Ma c’è un’altra eredità pesante e indigesta che l’Expo ha lasciato in dote. L’esposizione universale è il laboratorio di nuove tipologie contrattuali con cui tutti i lavoratori potrebbero avere a che fare in futuro: precarietà spinta, apprendistato selvaggio e lavoro gratuito per i nuovi schiavi chiamati stagisti. E volontariato: 18.500 persone per sei mesi presteranno la loro manodopera gratis. Queste tipologie contrattuali sono state sottoscritte anche dai sindacati confederali con la firma del protocollo del 23 luglio 2013. Erano i tempi delle promesse, quando si parlava di 70 mila posti di lavoro. Dopo un anno e mezzo è la stessa Camera del Lavoro di Milano ad ammettere il flop. Sono altri numeri, ma questi non fanno sognare. «Expo ad oggi porta solo poco più di 4.185 avviamenti», ha spiegato Graziano Gorla, segretario milanese della Cgil. Quasi tutti posti provvisori e a termine. «Penso che ogni tanto essere smentiti aiuti, ma ci troviamo di fronte all’evidenza che i dati sono addirittura al di sotto delle previsioni che avevamo formulato». Pensavano a 9 mila assunzioni vere. Sono meno della metà: più del 42% con contratti a tempo determinato, più del 17% sono collaborazioni, il 4,8% in apprendistato, il 4,6% è lavoro intermittente e il 3,2% sono tirocini.

Arriverà anche il primo novembre 2015. Quando il futuro dell’Expo sarà adesso. Che ne sarà dell’area quando verranno smontati i padiglioni? Le ipotesi sul campo sono le più fantasiose, ma non c’è alcuna certezza. Uno stadio? Forse. Un parco tecnologico tipo Silicon Valley? Può darsi. Se ne vedranno delle belle. La Statale e il Politecnico di Milano sono state incaricate di preparare un progetto per definire «funzioni, strumenti e soggetti compatibili alla sua valorizzazione». La decisione di affidarsi alle università è stata presa dalla società Arexpo dopo che è andato deserto il bando per la riqualificazione dell’area di un milione di metri quadri.